La festa di Sant’Elia con le Monache carmelitane scalze

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Il 20 luglio la celebrazione eucaristica nel monastero di Genova

GENOVA – Mercoledì 20 luglio, festa di sant’Elia profeta, Mons. Guido Marini ha presieduto la solenne S. Messa nella cappella del Monastero delle Carmelitane Scalze di Genova. Con lui hanno concelebrato Mons. Guido Gallese, vescovo di Alessandria e don Giovanni Valdenassi del presbiterio di Genova. L’Ordine Carmelitano è molto legato alla figura di sant’Elia perché vide la sua origine sul monte Carmelo, in Palestina, dove, come ricorda la Sacra Scrittura nel secondo libro dei Re, il profeta Elia operò in difesa della purezza della fede nel Dio di Israele, e dove, pregando in solitudine, vide apparire una nuvola apportatrice di pioggia dopo una lunga siccità e per merito suo sgorgò dalla roccia una fonte. Alla fine del XII secolo, alcuni pellegrini, provenienti dall’Europa, si raccolsero presso quella che si chiamava “Fonte di Elia”, in una vallata del monte Carmelo, per vivere in forma eremitica e nell’imitazione del profeta. Le monache Carmelitane Scalze, nata dalla riforma interna all’ordine voluta da Santa Teresa d’Avila nel 1562, giunsero a Genova nel 1590 e questa fu la prima fondazione fuori della Spagna, dopo solo otto anni dalla morte di Santa Teresa.

La loro presenza in città ebbe un’interruzione dopo la soppressione napoleonica nel 1799, ma nel 1843 la vita carmelitana riprese e da allora è sempre proseguita. Il vescovo nella sua omelia ha esortato a mettersi alla scuola del profeta e lo ha fatto rileggendo la pagina del vangelo della Trasfigurazione dove insieme a Gesù nella nube sono presenti proprio Elia e Mosè, i quali nella scena finale se ne vanno, lasciandolo solo con gli apostoli che provano un grande timore. Dal brano evangelico Mons. Marini ha tratto tre grandi insegnamenti. Il primo è proprio la presenza della nube nella quale è possibile trovare il Signore, in essa bisogna «entrare con esultanza e non con timore, con lo slancio del cuore che avverte di cogliere un tesoro prezioso».

Il secondo è stato quello di fare esperienza della propria nullità perché «noi siamo nulla senza di Lui nei fatti della vita e siamo opera di Dio e dobbiamo accogliere il fatto che è Lui a operare tutto nella nostra vita». Infine il terzo che è quello di sapersi fermare davanti a Lui, come l’angelo invita a fare a Elia e «coltivare una vita che trova nello stare davanti al Signore il fondamento e il criterio di ogni cammino e di ogni percorso».

Daniela Catalano

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