La Gattoparda

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Di Silvia Malaspina

Caro il mio Gattopardo, sei sbarcato in veste di miniserie in 6 episodi su Netflix, spopolando in termini di ascolto, ma suscitando accese polemiche. Le reprimende che ti vengono rivolte nascono sia dall’impietoso confronto con il film capolavoro del 1963 firmato da Luchino Visconti, sia dall’ulteriormente crudele paragone con il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tra tutte le critiche che ho letto, quella più pungente mi è parsa a firma di Davide Turrino su FQ magazine: “Poteva chiamarsi il “Gattomorto”: Bridgerton in una Sicilia da cartolina e storia rimasticata”. Eppure, caro Gattopardo Netflix, a me non sei dispiaciuto: la prima puntata mi ha lasciato un po’ perplessa, ma poi ho deciso di sciogliermi dal retaggio del film di Visconti e di considerarti un’opera autonoma, liberamente ispirata al romanzo, ma non un remake del film né, tanto meno, una fiction basata su una ricostruzione filologica degli avvenimenti storici. In questo modo ho potuto apprezzare anche il cast, in particolare Kim Rossi Stuart, che è riuscito a dare volto e voce a don Fabrizio Gerbéra, principe di Salina, in modo denso e pregnante, seppur meno drammatico rispetto all’interpretazione che fu di Burt Lancaster, così compressa che l’attore finì per assomigliare anche fisicamente a un gattopardo. La vera novità che la miniserie ha introdotto è la vicenda al femminile: Concetta, figlia del principe Fabrizio (una intensa Benedetta Porcaroli) domina tutta la narrazione, a differenza del film di Visconti, ove era una figura secondaria, mostrandoci l’evoluzione di una giovane donna che, allontanandosi dalla via che il padre aveva tracciato per lei, rimane fedele a se stessa, riavvicinandosi in ultimo al genitore e sostituendolo alla guida degli affari di famiglia. Se pensiamo che la vicenda è ambientata nel 1860-62, caro Gattopardo, una bella rivoluzione! Ho apprezzato la virata della storia al femminile e il messaggio del personaggio di Concetta, un tramite tra l’immobilismo del Principe e l’inevitabile cambiamento verso una nuova società nell’Italia unita. L’unico appunto che devo muoverti, caro Gattopardo, è il ruolo un po’ troppo marcato e centrale conferito alla storia d’amore (o d’interesse?) tra Tancredi e Angelica, ma ciò è dovuto al fatto che tu in veste di serie sia stato pensato per un pubblico intergenerazionale e internazionale. In conclusione, se gli sceneggiatori avessero avuto l’ardire di declinare il titolo al femminile, sarebbe stato immediatamente chiaro che ci saremmo trovati di fronte a una sperimentazione che nulla ha da spartire con gli apprezzabili monumenti del passato.

silviamalaspina@libero.it

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