La leggenda di Malabrocca: gli ultimi saranno i primi

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Il ciclista, nato a Tortona, il 22 giugno avrebbe compiuto 100 anni. Lo chiamavano «il cinese», ma è diventato famoso nel mondo per la sua maglia nera

Può un corridore essere ricordato per arrivare ultimo, invece che primo? La risposta è sì, se il ciclista in questione si chiama Luigi Malabrocca, che il prossimo 22 giugno avrebbe compiuto il secolo di vita. Il papà ferroviere, la mamma casalinga, Malabrocca nacque nel 1920 a Tortona, ultimo di sette fratelli: due erano morti nella Prima guerra mondiale, altri due li aveva portati via la Spagnola, uno era emigrato in America e l’ultimo in Francia. Divenne popolare perché indossò la maglia nera per due anni consecutivi al Giro d’Italia. Era soprannominato «Luisìn», «Mala», oppure «el Cinès» per quei bizzarri, inconfondibili occhi a mandorla che lo facevano sembrare un orientale.

La leggenda narra che nel giugno del 1949, in una cascina sperduta della pianura padana, un contadino sentì un rumore sospetto provenire dal fienile. Si fece coraggio, andò a dare un’occhiata e vide rannicchiato sulla paglia un giovane dall’aspetto orientale, con una maglietta e i pantaloncini. Il povero contadino, quasi impaurito, gridò: «Un cinese! Cosa ci fai nel mio fienile?». Ma il giovane rispose, con accento di chi era nato da quelle parti: «Non mi inforchi, per carità: sto correndo il Giro d’Italia!». Era proprio Malabrocca che stava perdendo tempo e si era fermato per un riposino. Centrare il suo obiettivo, cioè quello di arrivare ultimo, non era semplice come si potrebbe pensare, perché doveva evitare di andare fuori tempo massimo e quindi di subire la squalifica dalla corsa.

Dopo cinque anni di interruzione per la guerra, nel 1946 il Giro d’Italia ricomincia ad animare e fare gioire la penisola. L’ultima volta aveva vinto un esordiente che il Malabrocca conosceva molto bene,

Fausto Coppi. Lungo lo Stivale, devastato dalle bombe del conflitto, e su strade non sempre percorribili, tanto che il tragitto veniva cambiato più volte, erano pronti a sfidarsi settantanove corridori. Malabrocca sa benissimo di non poter ambire alle prime posizioni, così si concentra sui traguardi volanti, sugli sprint intermedi sparsi in varie parti d’Italia per vivacizzare la gara, in cui c’era in palio soprattutto la gloria. Un giorno, però, giunge all’ultimo posto di una tappa, e scopre che è una vera manna dal cielo: i tifosi e gli sponsor, per solidarietà, gli offrono mance in denaro, salumi, bottiglie d’olio. Insomma, un vero tesoro per un uomo che aveva vissuto gli anni bui del fascismo e della guerra. All’indomani un pastore marchigiano gli dona una pecora del suo gregge, mettendogliela tra le braccia. Malabrocca, come racconterà allo scrittore Benito Mazzi, ha un’illuminazione. E pensa: «Perché non arrivare sempre ultimo?». Detto e fatto. Inizia a calcolare, a studiare come perdere tempo per chiudere in fondo, ma senza però essere squalificato. Arriva così la prima maglia nera della storia del Giro. Il “cinese” chiude a 4 ore, 9 minuti e 44 secondi dal vincitore Gino Bartali. E l’anno seguente arriva il bis, una doppietta incredibile, importante come quella di chi indossa la maglia rosa, stavolta è ultimo a 5 ore, 52 minuti e 20 secondi da Fausto Coppi. Insomma, diventa famoso proprio come i due campioni che hanno diviso l’Italia e dato vita a battaglie sportive epiche. Nasce così la leggenda della maglia nera, che però appare sulle scene del ciclismo una ventina di anni prima: «È ispirata dalla figura di Giuseppe Ticozzelli, lomellino di Castelnovetto, calciatore piuttosto noto nei primi anni venti che, nel 1926, decise di partecipare al Giro d’Italia come indipendente. – spiega Franco Rovati, pensionato bronese, grande appassionato di ciclismo e autore di libri – Non ebbe molta fortuna. Indossava la maglia nerostellata del Casale, squadra in cui aveva militato. Da qui nacque la leggenda della maglia nera».

Nel 1949, quando il contadino lo vuole inforcare, Malabrocca rimane vittima del suo stesso gioco: resta fermo troppo a lungo in un fienile per dormire e quando taglia il traguardo dell’ultima tappa a Milano i cronometristi e i giudici spazientiti hanno già lasciato le loro postazioni, assegnando all’ignaro Malabrocca lo stesso tempo del gruppo e al vicentino Sante Carollo (che si ritirò presto dalle competizioni) la maglia nera con relativo premio. Da allora Malabrocca decise di abbandonare quella singolare corsa all’ultimo posto.

Ma nel frattempo il mito si era creato. Chi ritiene fosse un corridore scarso però sbaglia di grosso perché nella sua carriera si aggiudicò, tra le altre manifestazioni, la Parigi-Nantes nel 1947, la Coppa Agostoni nel 1948 e il Kroz Jugoslaviju nel 1949. Per due volte (nel 1951 e nel 1953) fu campione d’Italia di ciclocross.

Morì a 86 anni a Garlasco.

La nipote Serena viene invitata ancora oggi nelle scuole per trasmettere la lezione del nonno e gli ha dedicato una pagina Facebook e un hashtag: #SiamoTuttiMalabrocca. Col tempo l’epopea della maglia nera perse il suo fascino. L’ultima fu indossata al Giro del 1951 dal trevigiano Giovanni Pinarello, che poi avrebbe fatto fortuna vendendo biciclette nel mondo.

Ma il mito di quel simpatico corridore tortonese, capace di arrivare ultimo anziché primo, non è tramontato.

E allora, auguri Malabrocca!

Franco Scabrosetti

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