La nostra intervista a don Pincerato. «Ai ragazzi dobbiamo offrire un orizzonte»

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Quali sono oggi le esigenze dei giovani e che cosa è per loro la fede?

«Oggi i giovani sono alla ricerca di persone che possono essere compagni di viaggio e vogliono adulti significativi e comunità capaci di accogliere. Di fronte a momenti di relazioni che li aiutano a sentirsi visti, ascoltati e accolti, i giovani non si tirano indietro e sono pronti a fare esperienza di cammino insieme e di crescita come Chiesa. Ci sono vari bisogni che devono essere interpretati dalla società, per esempio la paura dell’essere non guardati, di essere bloccati, il rischio dell’abbassamento del pensiero critico e dell’isolamento, come dimostra l’aumento degli hikikomori, però, di fronte a tutto questo, rimane viva la necessità di relazioni vere e autentiche nel cuore dei ragazzi. La fede per un giovane potrebbe essere un’esperienza totalizzante e unificante del sé, che può riuscire a fare in diversi contesti e, per assurdo, potrebbe avvenire senza mai citare la parola Dio, come dicono alcune ricerche dell’Istituto “Toniolo”. Per provare a raccontare la fede a un giovane bisogna ricorrere alla testimonianza di vita concreta. La sfida grande per raccontare la fede è fare esperienza di Cristo e trasmetterla anche nell’ordinarietà quotidiana».

Quale ruolo possono avere le famiglie nella formazione religiosa?

«Penso che al centro vada messa più che la famiglia o il giovane, la persona – padre, madre – che vive l’esperienza della famiglia. Come Chiesa siamo chiamati a stare accanto alle persone e a offrire una parola di senso, un orizzonte. Noi, come ha sottolineato anche Mons. Marini nel suo intervento, possiamo offrire l’esperienza di Gesù Cristo che ha affrontato le sfide della vita. Quindi bisogna rendersi credibili anche per le sfide che avvengono nella coppia, testimoniando la bellezza dell’amore, nonostante le fatiche di un contesto culturale che porta a non riconoscere alcuni valori fondamentali e a sperimentare la cultura dell’usa e getta».

I social possono essere uno strumento per annunciare Gesù Cristo? E l’intelligenza artificiale come va considerata?

«La componente multimediale può essere un primo approccio che, a mio avviso, può avere anche molti rischi da non sottovalutare, perché i social nascono come luoghi finalizzati a vendere un prodotto ma le esperienze importanti della vita non vanno mercificate. Uno dei rischi, ad esempio, è che ci sia una persona sola al comando. Credo che di fronte alle sfide attuali siamo chiamati a creare una rete di relazione. Anche i social possono crearla, ma penso sia più importante una comunità che si fa vicina, che non è solo uno slogan ma ti permette di vivere un accompagnamento nel quotidiano, nell’ordinario, di vedere che la nostra vita è “incarnata” e non può sfuggire alle gioie e alle fatiche di tutti i giorni. Così anche l’intelligenza artificiale in se stessa non è pericolosa, ma lo è la persona che la usa e non si pone in modo critico di fronte ad essa. L’IA è già nella storia e non possiamo arginarla o eliminarla. Bisogna offrire percorsi di riflessione per avere un approccio ragionato, non significa chiuso o rigido, ma in grado di capire le opportunità di bene e di male».

Dopo la GMG di Lisbona che cosa è cambiato nel mondo giovanile? E quale cammino si sta percorrendo in preparazione al Giubileo dei giovani?

«La GMG è stata il segno grande di uscita dal Covid per ripartire con energia e impegno. Il primo frutto è stato il ritrovarsi, seguito dalla riscoperta della profondità del mondo giovanile, assettato di silenzi, di parole vere, di ascolto, come è stato possibile sperimentare nelle confessioni e nella preghiera. La GMG interpella ancora il nostro quotidiano ed è un termometro di come i giovani siano pronti ad accettare una proposta e di come poi hanno bisogno di trovare nel proprio territorio tempi e spazi per continuare il cammino insieme. Sta a noi educatori rilanciare queste proposte e vincere la paura di proporre qualcosa di grande, di osare. Per il Giubileo di agosto auspico che i giovani sperimentino la bellezza dell’attesa che parla della speranza dell’incontro. Spero possa scaturire la consapevolezza che nelle loro mani c’è la possibilità di fare scelte cristiane e di bene per la loro vita. Sarà un Giubileo ricco di spunti e di occasioni e vorrei che capissero che questa esperienza si ripete ogni 25 anni, un tempo lungo in cui prepararsi a una novità grande e importante. Auguro ai giovani di assaporare la saggezza degli anziani che temono possa essere l’ultimo, cioè il desiderio di vivere qualcosa di bello da trasmettere. Sperare oggi sembra davvero arduo, ma la Chiesa, attraverso l’annuncio di Cristo, può offrire la possibilità di una vita bella, piena e responsabile e diventare luogo da abitare e nel quale sentirsi figli amati». d

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