La preghiera al “Padre Santo”

Visualizzazioni: 10

Mons. Guido Marini ha presieduto l’Eucaristia nella chiesa di Genova dove si conservano le spoglie di S. Francesco Maria da Camporosso

GENOVA – Martedì 17 settembre Mons. Guido Marini ha presieduto la celebrazione eucaristica nella solennità di san Francesco Maria da Camporosso, nella chiesa dei Frati Minori Cappuccini dedicata alla SS. Concezione, nota come santuario del Padre Santo.

La chiesa e il convento si trovano vicino al centro di Genova, padre Walter De Andreis è il guardiano, cioè il superiore della comunità, e animatore del Santuario. La chiesa del Padre Santo, come è più comunemente conosciuta, è assai cara a Mons. Guido: ha visto maturare e accompagna tutt’ora la sua vocazione. Gli anni di frequentazione, quindi, sono molti e l’affetto per questo luogo sacro ancora di più, come ha ricordato con un po’ di commozione all’inizio della celebrazione. La chiesa e il convento della SS. Concezione risalgono alla fine del 1500, quando i Cappuccini, per servire meglio gli ammalati della città, vollero avvicinarsi al centro. La chiesa fu edificata e dedicata alla SS. Concezione in ringraziamento per la protezione ricevuta durante la peste del 1579. Certamente realizzata secondo i canoni della povertà dei frati Cappuccini, venne da subito arricchita da opere degli artisti più prestigiosi del tempo.

In un tempietto annesso, accessibile dalla chiesa stessa, sono conservate le spoglie di S. Francesco Maria da Camporosso, dove la celebrazione è terminata, con la preghiera del santo. Giovanni Croese nacque a Camporosso, provincia di Imperia, il 27 dicembre 1804.

Entrò nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, senza diventare sacerdote, rimase fratello religioso col nome di Francesco Maria. Trascorse 40 anni in questo convento genovese, in gran parte con il compito della questua, e spese la sua vita senza gesti eclatanti, ma intessendo giorno per giorno una rete di rapporti con le persone, camminando e pregando per le strade della città, in particolare nei vicoli, i “carruggi”, e nel porto. Al momento opportuno, quando il Signore nelle circostanze concrete glielo chiedeva, dava la vita per ciascuno dei volti che gli erano divenuti cari: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12), come nel Vangelo proclamato nella celebrazione.

Il vescovo nell’omelia ha evidenziato la particella “come”. «In questo “come” c’è anche la trasmissione in noi di quella capacità che non è nostra, cioè di amare alla maniera di Dio. Noi riceviamo dal Signore la grazia e la capacità di amarci gli uni gli altri come Lui. Si ama con la stessa profondità del suo amore, con lo stesso splendore del suo amore, con la stessa straordinarietà del suo amore che è divino. Noi siamo chiamati ad amare così, noi possiamo amarci così, noi possiamo stare insieme dentro questo amore che è l’amore stesso del cuore del Signore».

Come fra’ Francesco Maria, testimone della carità attraverso il ministero della questua che lo ha portato per le vie della città di Genova: ha amato alla maniera di Dio. Per l’alta reputazione che si diffuse intorno alla sua persona fu chiamato comunemente «Padre Santo», e tutt’oggi è noto con quel nome.

Nel 1866 a Genova scoppiò una terribile epidemia di colera e per amore della ormai sua città Fra Francesco Maria offrì la vita onde far cessare il flagello. Questa suprema prova di amore culminò il 17 settembre 1866, quando il Signore lo accolse fra le sue braccia e il colera cessò. Verrebbe da pensare che è una combinazione che proprio nella data del 17 settembre si celebra la memoria delle Stimmate di san Francesco, ma sappiamo che le coincidenze sono ben progettate dal Creatore!

Nell’omelia, il vescovo facendo riferimento all’esortazione della lettera dell’apostolo Paolo “Siate figli di Dio” ha detto: «Voi tante volte passiamo su questa definizione della nostra identità con un po’ di superficialità, ma è la definizione più bella: “Figli di Dio”». Monsignor Marini ha raccontato di un episodio tenero che riguarda un papà che portava sulle spalle il figlioletto, tenendolo stretto, con molta attenzione e cura, e ha continuato: «Ecco, noi siamo figli, il Signore così è con noi, così ci ama, così accompagna la nostra vita, così non ci perde mai di vista, perché desidera per noi tutto il bene, il bene più grande: che possiamo realizzare la nostra vita qui e possiamo poi viverla in pienezza nell’eternità. Siamo figli di Dio, amati appassionatamente, coccolati con dolcezza, guardati con tenerezza, accarezzati con cura divina. Questa è la nostra identità: siamo figli». Nella lettura dell’Apostolo Paolo abbiamo sentito “dovete splendere come astri nel mondo”. Con queste parole di gioia e di commozione, l’apostolo ricorda a tutti noi che in quanto figli di Dio abbiamo ricevuto da Dio la capacità di amare con il suo stesso amore e così diventiamo un astro luminoso che nel mondo splende, porta luce, porta calore, comunica il senso autentico della vita, trasmette gioia. Il Padre Santo è uno straordinario testimone di questo amore, nella semplicità della quotidianità.

Un’ultima curiosità. L’arazzo che sovrasta l’altare della Chiesa e che raffigura il Padre Santo è quello utilizzato in piazza San Pietro per la sua canonizzazione presieduta da Papa Giovanni XXIII nel 1962.

Lucia Gradi (Foto: Luigi Bloise)

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *