La riserva
di Silvia Malaspina e Carolina Mangiarotti
Ha suscitato grande scalpore mediatico l’uscita il 10 gennaio scorso del libro autobiografico di Henry, duca di Sussex (libro in realtà vergato dal premio Pulitzer J.R. Moehringer, poiché lo stesso Henry ha ammesso di non essere molto avvezzo alla lettura e quindi, presumiamo, alla scrittura corretta e scorrevole!), intitolato Spare, cioè “riserva”. L’ispirazione per questa pregnante intitolazione pare sia un chiaro riferimento a un’asserzione che re Carlo III, in presenza di entrambi i figli, avrebbe rivolto alla moglie Diana: «Mi hai dato un erede al trono e una riserva. Hai fatto il tuo dovere».
Non abbiamo letto il volume ma, per via delle anticipazioni e degli estratti che sono ormai comparsi su tutti i media e sui social, abbiamo appreso che Henry ha sempre sofferto della “sindrome del figlio cadetto”, dovendo restare un passo indietro al fratello, erede al trono, un po’ per protocollo reale, un po’ per la tragica sorte di aver perso l’amatissima madre, che rifuggiva tale protocollo e si sarebbe adoperata nel renderglielo meno pressante, in tenera età. Tralasciando le rivelazioni ben poco nobili sull’uso di stupefacenti, congelamenti durante una spedizione al Polo, risse tra fratelli, litigi e ripicche tra le cognate principesse consorti, che nemmeno Pamela e Sue Ellen ai tempi di “Dallas”, ci siamo soffermate a riflettere se e quanto il malessere denunciato da Henry sia frequente anche nelle famiglie normali e, di conseguenza, se veramente ai figli unici manchi un riferimento prezioso.
«Mi sono sempre crucciata un po’ del fatto che tu, pur non per nostro volere, sia rimasta figlia unica: temevo ti mancasse qualcosa, ho sempre avuto l’idea che i legami tra fratelli siano più forti di qualsiasi avversità o contrasto, ma forse devo ricredermi: non è automatico che tra consanguinei ci si ami e ci si rispetti.» «Infatti è un banalissimo luogo comune, come quello secondo il quale i figli unici siano autoreferenziali, egoisti e viziati: io non mi sento tale e non avrei voluto avere una sorella… magari mi sarebbe toccata una bimbetta che si infiocchettava e che da grande avrebbe fatto la smorfiosa: altro che Spare, avrei potuto spararle! Forse un fratello più grande mi sarebbe piaciuto, non avrei avuto tutta la vostra attenzione concentrata esclusivamente su di me, soprattutto per i rimproveri; mi avrebbe spianato la strada sulle uscite serali e avremmo potuto andare allo stadio insieme. Comunque sono contenta così: mi sono abituata a stare da sola e mi piace molto, non ho paura del silenzio e dei tempi morti, se mi trovo in una situazione problematica non posso certo chiamare sempre la mamma e quindi me la devo sbrigare per forza!»
«Potresti provare a scrivere anche tu un memoriale, con un titolo tipo: Ho le riserve in me stessa.»
silviamalaspina@libero.it