La Santa Fascia della Vergine Maria

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Nella cattedrale di Tortona, all’altare della Santa Croce, in una nicchia sotto la mensa, è conservata una singolare reliquia che avrebbe tessuto la Madonna con le sue stesse mani e che avrebbe usato per trasportare Gesù durante la fuga in Egitto

di Don Maurizio Ceriani

Senza entrare nella questione della loro autenticità archeologica, perché non è questo il luogo idoneo, e coscienti dei molti abusi in questo campo riportati dalla storia, va tuttavia ricordato che le reliquie della vita di Gesù, specialmente dell’infanzia, rivestono sempre un preminente valore simbolico. Sottolineano, con un linguaggio semplice ma efficace, la verità meravigliosa dell’Incarnazione. La fascia che resse il Bambino Gesù al collo della Vergine, durante la fuga in Egitto, diventa il simbolo dell’impotenza assunta da Colui che regge l’universo, nel momento in cui si fece carne: la carne di un infante che da solo non si regge, ma si appoggia nel suo corpicino di neonato ad una fascia, tessuta da Maria.

San Paolo chiamerà tutto questo “kenosis”, declinata in ogni giorno della vita umana dell’Unigenito nato dalla Vergine.

Una presenza antica, restituita sulla soglia del terzo millennio

La Santa Fascia giunse a Tortona il 6 agosto 1237. Veniva da Gerusalemme, dove Pietro Guilardum l’aveva acquistata per dieci monete d’oro; egli la consegnò a Guglielmo Lodule, priore degli Umiliati del convento di San Marco, di cui rimane ancora oggi traccia in uno dei chiostri del Seminario. La consegna avvenne all’ora terza, con tutti i crismi, alla presenza di dieci testimoni, sette frati umiliati e tre laici tortonesi, fuori della porta della città, detta “porta Zucharello”, non ancora identificata. Ne dà relazione un manoscritto del XV secolo, conservato nella Biblioteca Braidense di Milano, il cui autore è ormai riconosciuto nel frate Jacopo Filippo Foresti da Bergamo, membro dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino. La reliquia recava un cartiglio su cui era scritto: “Questa è la fassa quale fece nostra Donna con le sue mani et teneva al collo quando fuggì in Egitto per sustenere suo figliuolo nostro Signor Yesu Xristo”.

La devozione a questa reliquia fu vivissima tra i Tortonesi e diede lustro sia al convento di San Marco sia alla famiglia religiosa degli Umiliati, che solo dal 1232 si erano stabiliti in città. La sua fama travalicò i confini di Tortona e, nei secoli successivi, troviamo interessanti testimonianze del suo culto. Il Duca di Milano, Ludovico il Moro, esentava nel 1496 il convento di San Marco da ogni alloggiamento militare per la sua devozione alla Santa Fascia. Alla soppressione degli Umiliati, avvenuta nel 1571, la Santa Fascia fu traslata nel convento dei Servi di Maria detto “La Chiesiola”, con l’assenso di San Carlo Borromeo, dove rimase fino al 23 febbraio 1798, quando venne soppresso su istanza del Re di Sardegna, Carlo Emanuele IV, ostaggio delle truppe napoleoniche e forzato a imporre nel suo regno la legislazione giacobina d’oltralpe. Nonostante i tentavi del Capitolo della Cattedrale di conservare la reliquia per la città, nel 1806 la Santa Fascia fu portata a Roma nella casa generalizia dei Servi di Maria e successivamente trasferita nella chiesa di San Marcello. Ritornò a Tortona nel maggio 1998, dopo la richiesta di restituzione che il vescovo, Mons. Martino Canessa, aveva firmato il 2 maggio di quell’anno. Dopo il restauro, effettuato dalle monache di San Giulio, fu riposta nell’altare della Santa Croce.

Il culto secolare

L’antico Messale Romano celebrava la commemorazione della fuga in Egitto il 17 febbraio, mutuandola probabilmente dai sinassari copti; la liturgia recepiva, anche in questo caso, un mistero salvifico, secondo l’insegnamento dei Padri della Chiesa. Insegna, infatti, San Pier Crisologo: «questa fuga non mira a evitare la morte del Creatore, ma a procurare la vita al mondo». Gesù che esce dai confini di Israele si manifesta come Salvatore inviato al mondo intero. A Tortona abbiamo notizia che la Santa Fascia era esposta anche al 28 dicembre, nella festa dei Santi Innocenti, celebrazione correlata alla fuga in Egitto. Il Bussa, nel suo manoscritto del 1766 Memorie dell’inclita Tortona, registra il culto particolarmente tributato alla reliquia da parte delle partorienti e le grazie ricevute da molte di esse. Ugualmente riporta che la custodia della reliquia era chiusa con due chiavi, una delle quali custodita dai frati e un’altra da un nobile della città a turno. Niccolò Montemerlo nel suo Raccoglimento di nuova historia dell’antica città di Tortona del 1618 la dice veneratissima e così la descrive: «Questa sacrata fascia, la quale questa Signora conservò come ricco tesoro, et al presente si cerca di vedere con gran tenerezza, e di grandezza come la mano in circa, lunga intorno a due braccia, e d’un colore un poco gialletto per l’antichita, e non si può decernere se e di lana tessuta, o di seta bianca, per essere il filato molto sottile, et fu trasportata da Gierusalemme a Tortona, come per translatione si narra, rogata da notaro pubblico, conservata ne gli archivi della citta, et hora rimane ornata di lamme di argento da ambe le parti, in una della quali e l’arma de Duchi di Milano, e l’altra quella della città nostra».

Mons. Carlo Ceva, vescovo dal 1683 al 1700, fece realizzare per la Santa Fascia un prezioso reliquiario in argento con le armi della sua casata, perduto durante la permanenza romana e sostituito nel 1863 dall’attuale, che presenta nei quattro angoli gli stemmi della città di Tortona, della casata viscontea, dell’ordine degli Umiliati e di quello dei Servi di Maria.

La testimonianza pittorica di Giotto

Nell’affresco che rappresenta la fuga in Egitto, dipinto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova tra il 1303 e il 1305, il Bambino Gesù è sorretto al collo della Vergine da una fascia che ricorda, nella trama e nella decorazione, la reliquia tortonese. Non accade lo stesso nell’analogo affresco, dipinto per la basilica inferiore di Assisi, tra il 1308 e il 1311, dove intervennero accanto al maestro diversi pittori della sua bottega, specialmente Stefano Fiorentino e l’umbro Maestro delle vele; qui la fascia è anonima. Va però ricordato che, nell’iconografia della “Fuga in Egitto”, la rappresentazione del Bambino sorretto da una fascia al collo della Vergine è molto rara; Giotto, invece, la dipinge in entrambi i dipinti dell’episodio evangelico.

Sappiamo che nella città veneta, su commissione di Enrico degli Scrovegni, Giotto realizzò un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da Alberto da Padova, teologo agostiniano di raffinata competenza. Non potremo mai dire se Giotto vide la reliquia tortonese oppure se la venerò Alberto da Padova, durante uno dei suoi viaggi dall’università patavina alla Sorbona di Parigi. Sta di fatto che vediamo dipinta la Santa Fascia in uno dei più prestigiosi capolavori dell’arte italiana.

Il frammento milanese

Una tradizione secolare individua una parte consistente della reliquia in quella che era conservata e venerata nella casa madre degli Umiliati lombardi a Milano in Santa Maria di Brera.

Una significativa testimonianza è resa da un opuscolo a stampa del 1701, anch’esso conservato alla Braidense; fu redatto a Brera stessa e forse proprio da un membro della Compagnia di Gesù, succeduta agli Umiliati dopo la loro soppressione. Si evince che la reliquia fu oggetto di particolare venerazione, soprattutto intorno al 1630, dopo la peste, quando il culto fu ufficializzato e i Gesuiti istituirono una solenne celebrazione dal 1642. Nel documento si afferma la provenienza tortonese della Santa Fascia. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di una porzione della reliquia tortonese, traslata a Milano in un’epoca imprecisata comunque precedente alla soppressione degli Umiliati del 1571. In quella direzione andrebbe anche il verbale della ricognizione canonica, fatta in Roma il 7 luglio 1863, dove si afferma che in origine la Fascia aveva la lunghezza di tre braccia, mentre al presente è solo di due.

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