La solidarietà non va in vacanza

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Di Pierangela Fiorani

Un amico mi ha ricordato qualche giorno fa una canzone dei Nomadi (titolo: “Estate”) dove la stagione delle vacanze e del desiderato relax viene descritta così: “Estate di classe / non sai essere per tutti / sei discriminante tra i belli ed i brutti… / stagione abbronzata / stagione classista”. Confesso che non la ricordavo, nonostante la mia antica passione per il formidabile gruppo di Augusto Daolio, ma sono perfettamente d’accordo con loro. L’estate è senz’altro un periodo che segna in maniera più incisiva rispetto ad altri momenti dell’anno la disparità tra chi ha più risorse d’ogni genere e chi ne ha meno o non ne ha affatto. E la sensazione è che questo accada, per certi aspetti, persino più di un tempo, quando c’erano – è vero – intere famiglie con molti mezzi che partivano per la villeggiatura a giugno e tornavano a casa ai primi di ottobre. Era un rito della nobiltà che si portava anche un seguito di servitù, ma pure della borghesia, che in ogni caso spediva mamme, nonne, zie e bambini al mare, ai monti o in campagna, mentre i padri raggiungevano la famiglia solo nel weekend e in agosto. Gli altri se ne stavano a casa, ma per tutti, ovunque, c’erano supporti che non venivano mai meno grazie a gruppi famigliari numerosi, ai quali si affiancavano vicini di casa presenti, disponibili a dare un occhio ai più piccoli, ai più anziani, a chiunque avesse bisogno. Anche le situazioni più delicate che necessitavano di supporto venivano in qualche modo sostenute, “ammortizzate” si direbbe oggi, con una parola per nulla elegante. È meno facile affrontare le necessità che sono deflagrate nella società degli individualismi di questo nostro tempo presente. Certo sono cadute le profonde divaricazioni di classe. O no? Le cose sono in ogni caso cambiate. Sono sicuramente di più le famiglie che possono almeno permettersi qualche giorno al mare. Ma l’estate non dura sette-dieci giorni soltanto, e nella quotidianità ci sono sempre troppe cose da mettere d’accordo: c’è il lavoro, c’è il menage familiare, c’è la cura e il sostegno da garantire ai più fragili come gli anziani, i grandi anziani non più autosufficienti, ci sono i bambini e le loro lunghe pause da asili e scuole, ci sono i diversamente abili di ogni età (ne diremo ancora tra poco) che non possono essere lasciati soli. Lo sanno madri, padri, genitori e figli che fanno salti mortali, ferie e permessi a turno (e non basta) per far fronte alla “stagione classista” nella quale non tutti possono pagare babysitter, badanti supplenti, costosi centri estivi e ricoveri temporanei in case d’accoglienza. L’estate è un rebus, un’esercitazione a chiudere buchi di un puzzle che, bene che vada, fa desiderare solo che finisca presto e lascia senza dubbio stremati alla ripresa d’autunno. Esagero? Non credo. Mi guardo intorno e constato. Ascolto i discorsi di chi per tutti i motivi di cui sopra fa fatica a trovare soluzioni degne. E leggo altri segnali. Come quello che viene dalla consultazione dei progetti sottoposti negli ultimi bandi alla Fondazione della Comunità della provincia di Pavia, dove è in crescita la presenza di associazioni, comunità di accoglienza e onlus che chiedono aiuto per garantire comunque e magari un po’ di più un pranzo e una cena ai poverissimi e per poter farsi carico di disabilità di vario tipo. E l’ansia di non lasciare indietro nessuno aumenta proprio nei mesi estivi. Bisogni per il qui e ora, appunto. Che tra luglio e agosto si ingrandiscono, rischiano di mandare in tilt non solo le famiglie dei disabili, per le quali non esistono parole come “tregua”, “riposo”, “vacanza”, “sollievo”, ma anche le strutture, che nel resto dell’anno riescono con impegno e dedizione a garantire tutto sommato servizi importanti ed eccellenti. La crisi della “stagione classista” è un argomento forte che interroga e chiama tutti a guardare con più attenzione, per vedere chi ci sta accanto o appena un passo più in là, perché le necessità più pesanti non vanno mai in vacanza.

pierangelafiorani@gmail.com

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