«La Vita Consacrata è incontro vivo con il Signore nel suo popolo»

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In occasione della Giornata che si terrà domenica 2 febbraio, a Tortona, con il vescovo, abbiamo intervistato don Maurizio Ceriani, vicario episcopale per i religiosi e i diaconi permanenti, per accendere i riflettori sul ruolo fondamentale dei religiosi nella comunità diocesana

TORTONA – Domenica 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore, la Chiesa celebra la XXIV Giornata mondiale della Vita Consacrata.

Anche nella nostra diocesi i religiosi e le religiose sono invitati a partecipare alla celebrazione diocesana a Tortona, presieduta dal vescovo Mons. Vittorio Viola, che inizia alle ore 17.30 nella chiesa di Santa Maria Canale e prosegue con la processione alla Cattedrale.

In occasione di questo importante momento ecclesiale, istituito da Papa Giovanni Paolo II il 2 febbraio 1997, abbiamo intervistato don Maurizio Ceriani che, dal febbraio dello scorso anno, è stato nominato vicario episcopale per i religiosi e per i diaconi permanenti.

Perché la Chiesa ha istituito la Giornata per la Vita Consacrata e qual’è il motivo della scelta del 2 febbraio?

La Chiesa ha sentito la necessità di dedicare una giornata specifica alla riflessione sulla vita religiosa perchè è realtà costitutiva della comunità ecclesiale. Come insegna il Concilio Vaticano II, l’esperienza religiosa è profezia e continuo richiamo, nella testimonianza di una vita donata integralmente a Cristo, di quella che è la vera dimensione della speranza cristiana, cioè il Regno dei Cieli. Capita che nelle vicende quotidiane si tenda a dimenticare che il cristiano è cittadino del Regno già nella dimensione terrena. Religiosi e religiose sono per il popolo di Dio un continuo rimando alla dimensione escatologica della vita.
La data del 2 febbraio è stata scelta dal papa Giovanni Paolo II perché la Presentazione di Gesù al Tempio costituisce un’eloquente icona della totale donazione della propria vita per coloro che sono stati chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo “i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero e obbediente” (Vita Consacrata, n. 1).
Alla presentazione di Cristo è associata Maria. Infatti, la Vergine Madre, che porta al Tempio il Figlio perché sia offerto al Padre, esprime bene la figura della Chiesa che continua a offrire i suoi figli e le sue figlie al Padre celeste, associandoli all’unica oblazione di Cristo, causa e modello di ogni consacrazione nella Chiesa.

Perché il vescovo ha creato la figura del vicario episcopale e quali sono i suoi compiti?

La figura del vicario episcopale, un tempo già presente in diocesi, è il segno della particolare attenzione del vescovo e della comunità diocesana alla vita religiosa che, coi suoi carismi, costituisce una presenza imprescindibile per la Chiesa locale.
Come vicario episcopale, il mio primo dovere è quello di essere fedele all’incarico che il vescovo mi ha affidato, cioè di far sentire la sua sollecitudine alle famiglie religiose presenti in diocesi e, in particolare, di realizzare quei tratti di servizio specificati nel decreto di nomina, che sono “un coordinamento e un’animazione che punti a una sempre più sentita appartenenza ecclesiale, a-perta a ciò che la Diocesi vive, nel rispetto dei singoli carismi”.
Il primo impegno del mio ufficio è stato quello di incontrare le singole comunità, iniziando da quelle femminili. Per me è un fecondo pellegrinaggio spirituale, non ancora terminato, all’interno dei singoli carismi. In collaborazione con il CISM (Conferenza Italiana Superiori Maggiori) e l’USMI (Unione Superiore Maggiori d’Italia) diocesani, mi sono preoccupato di offrire un percorso diocesano per le famiglie religiose, sulla scia dei convegni diocesani, sintetizzato nel titolo “Corresponsabilità: una Chiesa locale che si prende cura dei carismi religiosi; i religiosi che si prendono cura della Chiesa locale”. Infine, mi sono reso disponibile a prestare il mio servizio a tutte quelle comunità che lo richiedono per quanto riguarda la formazione, la spiritualità e le celebrazioni liturgiche.

Quante sono oggi le comunità religiose in diocesi?

Sono più di trenta, anche se i numeri sono molto lontani da quelli di un non lontano passato quando ogni parrocchia, grande o piccola, aveva la presenza felice e feconda di una piccola comunità di suore.
Tuttavia la nostra diocesi ha ancora la grazia di custodire quattro Case Madri di congregazioni religiose femminili e una maschile.
È sempre emozionante visitare una Casa Madre, perché vuol dire immergersi nella fecondità della nostra Chiesa, nella quale lo Spirito Santo ha trovato cuori generosi e pronti a rispondere alla sua voce. Da quei luoghi, come da una sorgente, è sgorgato un fiume di grazia che raggiunge i confini del mondo. Le Case Madri presenti in diocesi sono: Suore Benedettine della Divina Provvidenza a Voghera, fondate dalle sorelle Maria e Giustina Schiapparoli; Piccola Opera della Divina Provvidenza e Suore Missionarie della Carità a Tortona, fondate da san Luigi Orione; Piccole Figlie del Sacro Cuore di Gesù a Sale, fondate da mons. Amilcare Boccio e da madre Guglielmina Remotti e la Pia Famiglia delle Sorelle del Santo Rosario Apostole del Lavoro a Rivanazzano Terme, fondate da mons. Pietro Mongiardini e da madre Anna Coralli.

Come influisce la crisi vocazionale attuale sulla vita religiosa?

Oggi la crisi vocazionale pesa notevolmente sulle comunità religiose che vedono la diminuzione del numero dei consacrati e l’innalzamento dell’età media dei suoi membri. Tuttavia questa situazione non può diventare né motivo di angoscia, né la prima preoccupazione per i consacrati, quanto invece un “segno dei tempi” che interroga e stimola e ci interpella. L’orizzonte di ogni famiglia religiosa resta la fedeltà al carisma nell’oggi della storia, come insegna Papa Francesco che arriva, come il vescovo, da un’esperienza religiosa, gesuita nel primo caso e francescana nel secondo. Il pontefice, con il suo stile immediato e coraggioso, nell’omelia della Giornata della Vita consacrata dello scorso anno si esprimeva così in merito al problema delle vocazioni: «La vita consacrata non è sopravvivenza, non è prepararsi all’“ars bene moriendi”: questa è la tentazione di oggi davanti al calo delle vocazioni.
No, non è sopravvivenza, è vita nuova.
È incontro vivo con il Signore nel suo popolo. È chiamata all’obbedienza fedele di ogni giorno e alle sorprese inedite dello Spirito. È visione di quel che conta abbracciare per avere la gioia: Gesù». In questi mesi, facendo tesoro della sua riflessione e del magistero della Chie-sa che continuamente richiama questa verità, sto cercando di sottolineare come la vita religiosa sia innanzitutto la bellezza di appartenere a Cristo, prima e sopra tutti i generosi servizi svolti dalle religiose e dai religiosi in seno alla comunità.
È un cambiamento di sguardo, una piccola conversione che tutti siamo chiamati a fare per apprezzare la vita religiosa nella sua essenzialità che è “lode che dà gioia al popolo di Dio, visione profetica che rivela quello che conta” (Papa Francesco).

Quali sono gli obiettivi e le attese per il futuro nel mondo religioso diocesano?

I consacrati presenti in diocesi vivono profondamente il desiderio e l’impegno di crescere sempre più nella comunione all’interno della Chiesa locale. L’obiettivo è quello di realizzare, con la forza della comunione fraterna, quanto il vescovo ci sta indicando con determinazione, facendo suo l’invito del Papa a compiere quella “scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa”.
Un desiderio che personalmente sento forte, e che condivido con diversi confratelli e fedeli della diocesi, è quello di poter avere in diocesi una comunità di vita contemplativa. L’assenza di una comunità monastica priva la vita religiosa di un aspetto fondamentale e impoverisce la Chiesa.
Purtroppo le vicende storiche dell’Italia settentrionale, prima con la soppressione napoleonica del 1806 e poi con le Leggi Siccardi del 1854, hanno privato le nostre terre, in passato ricche di monasteri tanto maschili quanto femminili, di una preziosa risorsa spirituale presente, invece, in altre regioni dell’Italia centrale e meridionale. Infine vorrei concludere con un ricordo che trovo sempre commovente e confortante. Gli Acta Sancti Innocentii – ormai ascrivibili ai secoli VI-VII nella loro primitiva stesura, grazie agli studi dell’ultimo decennio – raccontano di una “casa”, costruita nel IV secolo dal vescovo sant’Innocenzo, per accogliere la sorella Innocenza e altre vergini che desideravano donarsi al Signore.
Una così antica presenza di vita consacrata nelle nostre terre non può che sostenerci nella speranza e nell’impegno per il presente e il futuro.

Daniela Catalano

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