“La vita fragile e il coraggio della cura”: a Tortona si è tenuto il corso di formazione per operatori sanitari
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Tortona – È stato il Vescovo Monsignor Vittorio Viola ad aprire il corso di formazione sul tema del fine vita dal titolo “La vita fragile e il coraggio della cura” che si è tenuto sabato 28 settembre alle ore 9.30 presso la sala convegni della fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.
Il corso ha visto la partecipazione di figure professionali appartenenti al mondo sanitario, operatori di pastorale sanitaria, volontari, responsabili di associazioni che si occupano di cura e assistenza ai malati.
Grazia Marciani, specialista in neurologia, neurofisiologia, etica, direttrice dell’Unità di Neurologia del Policlinico “Tor Vergata” di Roma, ha condotto il suo intervento precisando che “la medicina è sempre stata umana. Ora serve riumanizzarla”. “Il progresso – ha sottolineato – rischia di creare un gap fra il personale sanitario e il paziente. Dobbiamo invece riappropriarci del valore della relazione perché il medico non cura solo la malattia ma la persona affetta da quella malattia nella sua singolarità”. Pertanto anche se la cura, intesa in senso meramente terapeutico può fallire nel suo scopo, “il prendersi cura” è comunque sempre possibile.
Attraverso una chiara e puntuale esposizione che, partendo dalla relazione medicopaziente ha attraversato argomenti riguardanti il percorso di cura, l’accanimento terapeutico – o meglio – l’ostinazione terapeutica e le cure palliative, è giunta alla nozione di eutanasia, soffermandosi in particolare sulla Legge 219/2017 a proposito del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT). La professoressa ha illustrato, da un punto di vista medico, gli elementi portanti della legge ma ha evidenziato le sue numerose ombre. Tali elementi sono: la tutela del diritto alla salute e all’autodeterminazione della persona, la relazione di cura e fiducia tra medico e paziente che garantisce un’appropriata terapia del dolore, oltre all’erogazione di cure palliative e il ricorso alla sedazione continua profonda.
L’avvocato Gianluca Gandalini di Savona ha proposto la lettura della suddetta normativa in tema di biotestamento e ha dato una dettagliata esposizione degli aspetti giuridici relativi al consenso del paziente, all’informazione sanitaria, alla terapia del dolore, alla sedazione profonda. La complessa materia, oggetto di legiferazione “grigia”, lascia molteplici dubbi applicativi e apre la strada a interpretazioni discordanti.
Don Massimo Angelelli, direttore nazionale dell’Ufficio di Pastorale della Salute della CEI di Roma, nel suo efficace e preciso intervento, ha posto l’accento su come, dal punto di vista mediatico, il vocabolo “autodeterminazione” richiami l’espressione assoluta della propria libertà: “Il problema non è essere liberi di scegliere, ma cosa sia il bene. Il credente sa che la vita è il bene assoluto; da qui emerge l’interrogativo: scegliere di morire è un atto di libertà? La risposta è negativa, poiché diviene una negazione del bene supremo, che è la vita stessa”.
Inoltre, per una scelta libera, si devono avere più opzioni: se mancano le cure, l’assistenza domiciliare, un sostegno familiare e i caregiver devono rinunciare al lavoro per assistere la persona malata, la libertà di scelta è compromessa. “Esiste un sistema che limita la capacità di scelta e una legge che mi impone la morte come soluzione. Chi vive la sofferenza, infatti, non è libero, bensì esposto più di tutti alla convinzione di essere un peso e che terminare la vita sia una soluzione”.
Il Vescovo ha chiuso la giornata ringraziando i presenti, la CRT, le autorità civili e, con voce rotta ha chiosato: “Io conosco uno che la sofferenza l’ha conosciuta perché l’ha provata sulla sua pelle, è Gesù Cristo… se io dovessi scrivere la mia DAT chiederei, anche ai medici, di accompagnarmi nella sofferenza così come l’ha vissuta Lui”.
Cristina Bertin