La vita in una tazza di caffè
di Arianna Ferrari e Andrea Rovati
LEI
Il caffè è un tema serio in famiglia. Per noi rappresenta una sorta di fil rouge che si dipana nella nostra storia e ci accompagna nei ricordi. Ancora oggi Andrea dice scherzando (almeno spero) che il primo bevuto insieme quando nella mente di entrambi aleggiava la frase “è solo un caffè” – gli è costato un matrimonio. Che simpatico umorista. In fondo però ha ragione: tutto iniziò con un innocuo incontro al bar. Da allora ne abbiamo bevuti tanti e diversi tra loro, in ogni luogo visitato e con una storia da raccontare. Ricordo la magnifica “monachella” in piazza Sant’Eustacchio a Roma da fidanzati. A seguire il mio primissimo caffè americano, lungo e slavato del viaggio di nozze, il caffè greco che devi far depositare prima di berlo nel piazzale di Episkopi a Creta sotto l’ombra dei platani, le grandi moke del mattino nella guesthouse del Matany Hospital in Uganda e potrei proseguire a lungo. Quello ugandese racchiude una bella storia perché bevuto in un luogo del cuore. Gli Italiani che negli anni si sono trovati a fare un’esperienza in ospedale a Matany, nella valigia hanno infilato in modo istintivo una caffettiera per paura di non trovarla o come regalo per chi era là: una sorta di legame d’italianità che solo gli espatriati possono capire. Fare il caffè era dunque un rito che a turno eravamo onorati di compiere e condividere con gli altri. Quando penso a questi momenti credo che anche in una tazza di caffè ci possa essere il racconto di una vita.
arifer.77@libero.it
LUI
La sveglia è un trauma, diciamoci la verità, ma per fortuna il pensiero della prima tazzina di caffè attenua un po’ lo shock. Oggi è difficile immaginare un inizio diverso della giornata ma come facevano prima? Infatti il caffè entra nell’uso europeo solo nel XVIXVII secolo ed è amore a prima vista, basta guardarsi La bottega del caffèdi Carlo Goldoni; da lì in poi il boom mondiale. Dalla storia grande a quella di ciascuno di noi, alla mia. Ai bambini non piace, d’altronde le papille gustative diminuiscono con l’età e alcuni gusti come l’amaro diventano accettabili e addirittura gradevoli solo col passare del tempo. Poi la scoperta del suo gusto strano e ammiccante e del suo effetto attivante (non per caso l’ho scoperto negli anni dell’università), senza dimenticarne il valore sociale (qualcuno ci si è pure sposato dopo un caffè, non faccio nomi). Impossibile ricordarli tutti, anche se alcuni spiccano per l’eccezionalità del momento (il Kona Coffee delle Hawaii in viaggio di nozze) o per la delusione (più di recente, in uno sciccosissimo e celeberrimo locale napoletano), per la bontà (quello del bar del mio ospedale: ebbene sì, è buonissimo) o per quanto era cattivo (io e Arianna ne ricordiamo con particolare disgusto uno bevuto a Bastia, in Corsica). Per noi Italiani la cosa è serissima: 400 miliardi di tazzine servite ogni anno nel mondo, 12000 al secondo, però il caffè buono lo facciamo solo noi. Con la moka ovviamente, quello in cialda va bene giusto per George Clooney.
andrea.rovati.broni@gmail.com