La vita sotto le macerie
di Maria Pia e Gianni Mussini
TV e giornali sul terremoto in Turchia, dove vive la nostra Lorenza (ma dalla parte opposta della grande penisola anatolica). Leggiamo di Muhammed, il bambino di 2 anni estratto dalle macerie a 44 ore dal sisma. Poi di una bambina di 1 anno e mezzo salvata dopo 56 ore. E di Yagiz, solo 10 giorni di vita, tirato fuori dalle macerie insieme alla mamma dopo ben 90 ore. Ma qualcuno lo ha superato: un maschietto di 7 mesi è stato riportato alla luce dopo ben 140 ore di buio. Il record spetta però a una piccola cui è stato attribuito il nome parlante di Aya, cioè “miracolo”, salvata a quasi 6 giorni dal terremoto quando ancora era attaccata con il cordone ombelicale alla mamma, morta dopo averla fatta nascere.
Nella tragedia squarci di luce e speranza, a dimostrare che la vita non si arrende. Spiegano del resto i medici una cosa che mamme e nonne sanno da sempre, cioè che i bambini hanno incredibili capacità di resistenza e, per usare la parola di moda, resilienza (abbiamo negli occhi l’immagine sbigottita di uno di questi piccoli nel momento in cui lo hanno estratto dalle macerie, e quella – posteriore di solo qualche ora – dello stesso bambino rifocillato e ripulito, tutto sorridente nel suo lettino d’ospedale).
Ma tra le tante scene che ci sono passate davanti in questi giorni, una ci ha colpito particolarmente, mostrata dalle telecamere di videosorveglianza di un altro ospedale: si vedono due infermiere che, quando arriva il terremoto, anziché scappare precipitosamente verso l’uscita, corrono intrepide verso le incubatrici dei “loro” neonati, per evitare che si ribaltino. Una santa, commoventissima fretta dimentica di sé, tutta protesa a un altruismo non comune e del tutto inaspettato in momenti come questi.
Qualcosa – se ci concedete il volo pindarico – accomuna quasi metaforicamente questi salvataggi all’opera di tante volontarie e tanti volontari CAV-Centro aiuto vita i quali si danno da fare in modo altrettanto intrepido, dinanzi ad altri tipi di “terremoti”, perché tutti i bambini concepiti possano vedere la luce senza essere travolti dalle macerie dell’aborto procurato. Ma ciò è possibile solo grazie alla decisiva collaborazione delle mamme, le quali – per superare i dubbi che potrebbero indurle a decidere diversamente – hanno bisogno di amiche intrepide come quelle infermiere, che possano aiutarle a salvare la propria vocazione alla maternità.
Insomma, se le grandi tragedie rivelano spesso il peggio di noi esseri umani (i profittatori che hanno costruito case di cartapesta, o coloro che tentano di rapire bambini rimasti soli), ne rivelano sempre anche il meglio. Pensiamo alle grandi pagine sulla peste, nei Promessi sposi:pagine in cui le tinte fosche si mescolano con quelle chiare e nelle quali, pur negli orrori rappresentati, non viene mai meno la speranza.
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