La vogherese Francesca Valassi nel deserto del Negev con “Donna Moderna”

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Un’impresa sportiva che è stata anche una profonda esperienza di vita

VOGHERA – Ottanta chilometri di corsa nel deserto del Negev (Israele), in quattro tappe, un’impresa sportiva ma anche una lezione di vita. Protagonista di questa avventura Francesca Valassi, vogherese, che alla fine di ottobre ha partecipato a “Donna Moderna Negev Adventure”, un progetto realizzato dalla rivista “Donna Moderna” insieme all’Ufficio nazionale israeliano del turismo. Noi l’abbiamo intervistata.

 

Francesca, anzitutto ci spieghi di cosa si trattava?

“Un’iniziativa promossa da Donna Moderna, che tra oltre 350 candidate, ha scelto 5 runner. Nello scorso settembre sono state fatte le selezioni: ciascuna partecipante doveva dichiarare come e quanto si allena. Oltre alla rivista, che si è occupata di esporre al pubblico l’iniziativa, hanno avuto un ruolo fondamentale l’ente del turismo di Israele, che ha voluto promuovere il territorio del Negev, questo deserto ancora abbastanza sconosciuto, e la parte organizzativa curata da Gianni Maccagni”.

 

Quando hai fatto le selezioni ti saresti aspettata di essere scelta?

“Sinceramente devo dire di no. Eravamo talmente in tante… Ogni tanto davo un’occhiata alle candidature, che erano pubbliche, alcune runner erano veramente forti. Ho tentato comunque la fortuna e quando sono stata scelta quasi non ci credevo. Ho subito fotografato la mail con cui mi comunicavano la notizia”.

 

A quel punto cosa è successo?

“Il 28 ottobre siamo partiti, atterrando a Tel Aviv. La gara è iniziata il 29 ed è durata 4 giorni. Gli 80 chilometri sono stati suddivisi in 4 tappe, che avevano una lunghezza più o meno simile.

La prima, la terza e la quarta sono state quelle più lunghe, erano più o meno delle mezze maratone. Mentre la seconda tappa, che abbiamo corso in serale, al tramonto, è stata quella più breve, perché ovviamente nel deserto quando il sole è sceso è calato il buio. Abbiamo corso in 5 (oltre a Francesca, per la cronaca Elisa Adorni, Arianna Bianchini, Eleonora Suizzo e Federica Verdoya, nda), ognuna con il suo passo, il suo modo di correre.

La cosa più bella è stato creare un clima di amicizia e collaborazione incredibile.

Probabilmente si sarebbero aspettati di vedere più rivalità tra di noi, mentre ci siamo trovate legatissime, anche se ovviamente ci eravamo viste solo due volte. La prima tappa e l’ultima abbiamo deciso di arrivare insieme mano nella mano.

Mentre nelle altre tappe siamo arrivate distaccate di uno, due minuti l’una dall’altra”.

 

Non vi siete limitate a correre…

“Abbiamo fatto delle attività extra e alcune esperienze toccanti. Per due volte siamo state ospiti a casa di donne che erano rimaste vittime di violenze e grazie ad un progetto sociale ricevono e preparano da mangiare agli ospiti che hanno piacere di fermarsi da loro. È stata un’esperienza emozionante perché vedere queste donne che si sono rimboccate le maniche e da sole sono uscite da queste brutte situazioni è qualcosa che ti fa capire quanto piccoli e insignificanti siano i nostri problemi quotidiani. Lo sport è stato l’elemento che ci ha fatto fare fatica fisica e ci ha tenute unite, ma poi c’è stato un elemento di riflessione profonda sui valori della vita, a maggior ragione per me che sono molto riflessiva. Essere lì in quella terra significava tanto perché sono credente”.

Era la prima volta che facevi una prova estrema?

“Io arrivo dal trail e dalla corsa in montagna. Non era nuova la sensazione di terra, sterrato e roccia sotto i piedi. Ma una gara così lunga non l’avevo mai fatta, anche se gli 80 chilometri erano spezzati in più tappe. Tra le ultime, prima di partire per Israele, avevo fatto a Campo dei Fiori, Varese, una ultra trail di 45 km con 2.300 metri di dislivello, quindi sono abituata.

Correre nel deserto è un’altra cosa, rimanere sotto il sole due o tre ore, un’aria secca: il rischio è di non bere perché c’è talmente secco che si suda e ci si asciuga immediatamente, ma se lo fai, quando ti accorgi di avere sete, è troppo tardi.

Quindi bisogna bere tanto e poco alla volta”.

 

Pratichi altre attività sportive?

“Sì. Mi piace correre in bici e nuotare”.

 

Viene spontaneo chiedere se nel tuo futuro ci sarà il triathlon (nuoto, ciclismo e corsa).

“Me lo chiedono tutti. È una sfida che mi piacerebbe provare. Chissà, magari il prossimo anno potrei trovare qualche gara interessante in cui cimentarmi. Finora ho preferito fare le tre prove separate, ma l’idea di metterle insieme non mi dispiace. Lancio sempre il cuore oltre l’ostacolo, vedrò se riuscirò a prenderlo”.

Franco Scabrosetti

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