L’etica del turismo e la progettazione d’insieme

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Abbiamo il vantaggio di essere ancora liberi di fare delle scelte e di stabilire quali limiti darci. Mettendoci in cammino sul sentiero tracciato da Corrado Del Bò

Un esercizio utile per queste giornate di primavera? Camminare. Lo raccomandano tutti e moltissimi rispondono pronti all’invito, stando più o meno vicini a casa, ubbidendo alle regole che il virus ancora vivo e vivace impone.

Camminare fa bene al corpo intorpidito dall’inverno e dalla clausura obbligata. Ma è anche il primo passo del pensiero. E se sentiero contiene nella sua etimologia parole come sentire, senso, significato, è facile capire come lasciare le strade trafficate e andare in cerca di sentieri sia più che mai necessario.

Dalle nostre parti l’offerta di sentieri è larga e l’opportunità di percorrerne sempre di nuovi si accompagna all’occasione di fare belle scoperte tra gli innumerevoli borghi delle colline. Quanti minuscoli agglomerati di case, quanti campanili a far loro da vedetta: lo sanno bene anche i parroci di qui, sempre meno, e sempre più chiamati a occuparsi di grappoli di parrocchie che, a volte, non bastano neppure le dita di due mani a contarle. Camminare, per chi può farlo, aiuta a guardare meglio, a osservare, a scoprire, a pensare al presente delle nostre terre e al loro futuro e a quello dei loro abitanti. Quante volte abbiamo parlato anche qui, sulle pagine de Il Popolo, di chi torna, di chi prova a mettere in piedi piccole imprese, degli sforzi – qualche volta anche collettivi, per fortuna – di far rivivere paesini che riprendono ad essere frequentati. Insomma di che crede e spera in quelle forme di turismo lento che altrove ha già trovato casa ben prima della pandemia da Covid. Si può? Si può! A patto di darsi regole, insieme, da subito. Mai sentito parlare di etica del turismo? Anzi, davanti a un’industria che rappresenta il 10% del Pil nazionale e che ha ancora chance di crescita, è diventato indispensabile discuterne.

Corrado Del Bò, pavese (già allievo di Salvatore Veca all’università di Pavia), filosofo del diritto e docente alla Statale di Milano, sull’Etica del turismo ha scritto recentemente un libro, oltre a insegnare la stessa disciplina in uno specifico corso a Lucca, nell’ambito della laurea in Scienze del turismo. Il professore mette in guardia rispetto alle nostre azioni in ambito turistico. Anche là dove molto è da costruire. Invoca consapevolezza e prontezza nel modificare comportamenti che portano a conseguenze negative. Parla volentieri di sostenibilità ambientale ed è convinto che ogni azione turistica, in contesti ricchi (come potrebbe essere Venezia), ma anche poveri (come potrebbe essere un territorio che ancora cerca di declinare una vocazione turistica), ha bisogno di un vaglio etico. Le mete su cui puntano i grandi tour operator chiamano in causa – sperando che non sia troppo tardi – la domanda etica. Così come lo fanno le nostre mete dietro casa. Abbiamo il vantaggio di essere all’inizio di un percorso, di essere ancora liberi di progettare sui nostri territori. Di decidere quale strada fare e anche di stabilire quali limiti darsi, dove è necessario fermarsi per non provocare guai irreparabili. I territori ancora poveri di turisti possono farsi intrappolare dalla tentazione di attirare ad ogni costo flussi di visitatori. Il docente di etica del turismo suggerisce la necessità di una progettazione d’insieme, per aree vaste o comunque su una scacchiera non troppo piccola.

La formula magica è “progettazione territoriale”. Ma chi la deve fare?

L’Oltrepò, le nostre colline sono un’isola identificabile che potrebbe avere la giusta dimensione per un ragionamento collettivo. C’è qui la consapevolezza di tutto questo, prima ancora della volontà di agire insieme?

«Oggi attraverso il turismo – dice il professor Corrado Del Bò – guardi il mondo, i suoi problemi economici, sociali, politici e anche etici». Da questo piccolo-grande mondo di casa sappiamo di doverlo fare e quindi di poterlo fare? Forse sì. A patto che non ci siano facili fughe in avanti. Che non ci si lasci ingannare dall’illusione del facile ma effimero vantaggio del singolo luogo, come alcuni segnali purtroppo lasciano intendere. Andare in ordine sparso è un vizio atavico da queste parti. Chissà che camminare, costeggiare vigneti, inoltrarsi in un bosco, osservare le fragilità di tanti versanti, e stupirsi magari davanti ai buoni interventi che sono stati fatti qua e là, non ci aiuti a riflettere.

È una primavera difficile, come quella di un anno fa, ma andare piano e sostare potrebbe essere di aiuto al dialogo aperto, a una volontà vera di sguardi lunghi che puntino ad arrivare lontano più che a ghermire il presente. È urgente pensare e studiare il futuro di una comunità larga da far crescere. Insieme, senza inganni.

pierangelafiorani@gmail.com

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