Lezioni di giornalismo

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Di Ennio Chiodi

Maria Vittoria Belleri, detta Mavi, è una giovane giornalista italiana. La tessera “ad honorem” le è stata consegnata dal presidente dell’Ordine su iniziativa di Fondazione Telethon. Mavi ha 10 anni ed è affetta da atrofia muscolare spinale. Si muove con grande “agilità” sulla sua sedia motorizzata, sorriso acceso e occhi brillanti, ed è già in piena attività. In un cortometraggio girato – con la giusta dose di sana retorica – dalla regista Francesca Archibugi, ha intervistato il presidente della Repubblica che l’ha ricevuta nel suo studio al Quirinale. «Lei è felice?» – chiede Mavi a Sergio Mattarella: domanda pertinente. Per diventare giornalista bisogna superare un esame di Stato che comprovi competenze e attitudini professionali. La motivazione con cui Mavi è stata accolta è ineccepibile: “la grande passione dimostrata verso la professione”. Le chiedono perché voglia fare la giornalista. «Ma per raccontare come stanno le cose» – risponde, semplicemente. Il mestiere del giornalista: raccontare le cose come stanno. Ci si può e si deve provare. Non esiste, in assoluto, l’obbiettività della notizia, non esiste una sola verità, un solo punto di vista, una sola prospettiva per osservare e narrare una vicenda, un solo riferimento possibile, un solo interlocutore credibile, un solo testimone attendibile. Quello che conta è almeno tendere a essere obbiettivi e corretti alla ricerca di una verità “possibile”. A meno che non si voglia fare un altro mestiere: più testimonial che mediatore, più supporter che osservatore. Come osserviamo sempre più – di questi tempi– negli studi televisivi dei cosiddetti talk show, trasformati in palcoscenici sui quali ognuno recita la parte per cui è stato scritturato, giornalisti, professori e analisti compresi. Anche questi professionisti fanno ormai parte di agenzie nate più per lo spettacolo che per l’informazione e a queste rispondono. Il tutto condito da un protagonismo esibizionista che spinge a sostenere posizioni politiche e ideologiche con toni esasperati e definitivi. Gli stessi conduttori – attori privilegiati delle scuderie che governano il sistema televisivo – favoriscono la contrapposizione più accesa e spettacolare, rinunciando a domande puntuali e scomode per ottenere risposte funzionali alla tesi che s’intende sostenere. Sono atteggiamenti che stridono con testimonianze spesso coraggiose e documentate, inchieste esclusive che restituiscono dignità al racconto giornalistico, ma lo spazio dedicato allo scambio civile d’idee è marginale. Ne fa le spese anche la completezza dell’informazione. A Mavi piacerebbe intervistare il Papa. Anche Fabio Fazio, che di Francesco è già stato interlocutore, avrebbe da imparare.

ennio.chiodi@gmail.com

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