Luoghi di accoglienza a Sale e Casei
Verso il Giubileo del 2025. Continuiamo a seguire idealmente il cammino di un pellegrino dei secoli scorsi: giunto a Tortona, quali direzioni poteva prendere?
DI DON MAURIZIO CERIANI
Proseguiamo idealmente il cammino di un pellegrino dei secoli scorsi che, giunto a Tortona, aveva diverse opzioni nel suo viaggio spirituale verso Roma e le tombe degli apostoli. Uno di questi itinerari lo portava a Pontecurone per proseguire verso Est lungo il tracciato dell’antica Postumia; non era rara una deviazione a Nord-Est per visitare in Pavia l’arca del grande sant’Agostino e poi rientrare a Piacenza sul tracciato della via Emilia. In questo caso il nostro pellegrino poteva contare su diversi luoghi di accoglienza in Sale e in Casei.
Gli Hospitales di Sale
A Sale, importante borgo diviso per secoli tra la giurisdizione ecclesiastica della Diocesi di Tortona e di quella di Pavia, era presente dal secolo XIV un “hospitale” sotto il titolo di San Michele. Una visita pastorale del vescovo di Pavia del 1460 afferma che dipendeva dalla parrocchia di Santa Maria e San Siro e aveva un ingente patrimonio. Un secondo ospizio per i pellegrini era gestito in Sale dai monaci pavesi di San Marino, che avevano fino al 1450 il diritto di patronato sull’antica pieve di San Giovanni, che sorgeva fuori le mura nel luogo a lungo denominato “San Giovanni Fuori”. L’ospizio invece era situato, insieme alla sua chiesa dedicata a San Marino, nell’area dell’attuale chiesa di San Giovanni, consacrata nel 1565. Un terzo luogo di accoglienza nel bordo di Sale era costituito dalla “Domus Dei”, chiamata anche, in alcuni documenti, “Ospedale di Sant’Antonio”, dipendente dal monastero vallombrosano di San Lanfranco in Pavia. Inoltre, nella visita apostolica del 1576 di Mons. Gerolamo Regazzoni, vescovo di Famagosta, resta notizia dell’esistenza, a quella data, dell’“hospitale” di San Giuseppe, in seguito denominato “dei Santi Giuseppe e Rocco”. Nei sinodi seicenteschi di Mons. Carlo Settala è, infine, registrato un “hospitale” della Misericordia.
Casei, l’“Oppidum Casellarum”
Casei (dal 1854 Casei Gerola) cioè l’“Oppidum Casellarum” di fondazione romana, nacque, e tale rimase fino all’epoca moderna, come un “Castrum” fortificato a guardia dell’ultimo guado sul Po a monte delle paludi del Siccomario. La via romana che vi giungeva da Tortona, attraverso Bagnolo e Cagnano, era una diramazione della Postumia e, una volta superato il Po, proseguiva per Lomello, Pavia e Milano. Pochi passi oltre l’abitato storico di Casei, al di là del ponte sul torrente Curone, su quella che era l’antica via per Tortona, sorge il Borgo San Pietro. Oggi si distinl Sale, chiesa di Santa Maria e San Siro gue appena tra le nuove costruzioni che negli ultimi decenni si sono moltiplicate, ma conserva ancora alcuni tratti caratteristici, con le basse case, i rustici di un tempo e gli ampi cortili dalla forma irregolare.
Il Borgo si sviluppò attorno a una chiesa intitolata a san Pietro, che fu mansione templare e passò in seguito agli Ospedalieri Gerosolimitani, oggi più noti come Cavalieri di Malta. Entrambi gli Ordini monastici e cavallereschi, sorti nel XII secolo al tempo delle crociate, crearono in tutta Europa anche una vera e propria rete di “hospitales”, per i pellegrini in viaggio verso Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela, Colonia, San Michele del Gargano e le altre mete dei grandi pellegrinaggi medioevali.
Il primo documento che indica la mansione templare di Casei è una lettera del 1199 di Papa Innocenzo III al Capitolo della Cattedrale di Tortona. Successivamente diversi documenti elencano le proprietà terriere di San Pietro di Casei, che sono di notevole estensione, collocate nell’agro tortonese e vogherese, dalle porte di Tortona fino a Retorbido, Pizzale e Campoferro; vi spiccano per importanza la cascina Calvenza o Cravenza di Tortona e i beni di Santa Maria de Campis. Quest’ultima era una chiesa campestre sulla strada tra Casei e Pontecurone, nei pressi di Bagnolo, preesistente la mansione templare stessa, dal momento che il 6 agosto del 1098 Stefano de Bonato faceva donazione dei suoi beni a detta chiesa.
Con la violenta soppressione, nel 1312, dei Templari accusati di eresia, molti dei loro beni in Italia vennero trasmessi all’ordine dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme (che divennero poi di Rodi e infine di Malta). Per quanto riguarda la mansione di San Pietro di Casei sappiamo, dai documenti dell’archivio capitolare di Tortona, che tutti i suoi beni, le sue pertinenze e i suoi diritti “che sono tra Castelnuovo e Caselle, presso la chiesa di Santa Maria de Campis e posti sotto la Calvenza” vennero affidati al domenicano Frate Filippo de Cumis, inquisitore di Lombardia e della Marca Genovese, con l’incarico di amministrarli temporaneamente e poi passarli ai Gerosolimitani. Successivamente nelle due relazioni che Mons. Girolamo Ragazzoni, vescovo di Famagosta, fece alla Santa Sede nel 1578 e nel 1583 in qualità di Visitatore Apostolico della Diocesi di Tortona, a proposito della Parrocchia di Casei si specifica la presenza della “Precettoria di San Pietro” affidata ai Gerosolimitani. Successivi cabrei dal 1682 al 1769 ci forniscono più o meno le stesse indicazioni, sottolineando l’importanza patrimoniale della commenda di San Pietro all’interno dell’Ordine Gerosolimitano, anche quando l’ospedale venne abbandonato e la chiesa di San Pietro subì ripetuti danneggiamenti fino a essere abbattuta e sostituita da una piccola cappella.
Nel 1755 la commenda, infatti, è goduta addirittura dal vicario generale dell’Ordine, Fra Nicolò Galvanico da Messina. La commenda di San Pietro seguì la sorte della maggior parte dei beni ecclesiastici del Nord Italia, incamerati con la soppressione napoleonica del 1806 e mai più ripristinati. Sappiamo dall’archivio parrocchiale che nella chiesa di San Pietro furono sepolti circa una settantina di morti di peste durante la tremenda epidemia del 1630, che a Casei infuriò da metà settembre a dicembre inoltrato.
In un cabreo del 1697 la chiesa è ancora annotata, mentre nella visita pastorale del 1740 si parla di “materiali demoliti di una chiesa anticamente distrutta dalle guerre”.
Un secondo “hospitale” a Casei è menzionato sotto il titolo di Santo Spirito. Sappiamo che nel ’700 era ubicato accanto alla chiesa di San Martino fuori le mura, sulla via verso il Po, ed era retto dai Francescani dell’Osservanza di San Bernardino. Tuttavia negli atti di morte della peste del 1630 risulta ancora ubicato in Borgo San Pietro e quindi, presumibilmente, officiato anch’esso dai Giovanniti.