…ma poi Gabicce è casa

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Di Arianna Ferrari e Andrea Rovati

LEI

Raggiungere Gabicce è stata un’epopea ma anche se arriviamo tardissimo troviamo un posticino lungo il porto che ci fa una piadina. Consolazione gastrica e mentale. Ne avevamo bisogno e verso l’una decretiamo che per oggi è abbastanza, ora è tempo di dormire. Soggiorniamo in un hotel nel quale Andrea andava da bambino e questo revival mi fa tenerezza. Gabicce è sempre stata più fresca degli altri paesi costieri ma stavolta, nonostante sia notte, fa caldo anche qui: noi comunque siamo così stanchi da crollare tra le braccia di Morfeo. Sabato mattina il sole è splendente, ci mettiamo in modalità vacanza e facciamo una bella colazione per poi dirigerci in spiaggia. Siamo ancora un po’ assonnati, la calura è insopportabile ma ci organizziamo: ombrellone, Settimana Enigmistica e pure un fumetto di Paperino che mi riporta alle mie infantili estati qui. Per essere metà luglio non c’è tanta gente. Ci dedichiamo al relax: leggiamo, passeggiamo e giochiamo a ping-pong nel mare. Mi sono sempre chiesta come ci si possa non annoiare ad andare in ferie sempre nello stesso luogo. Ora lo so… è rassicurante, dona la quiete delle cose note che sanno di buono. Dopo qualche ora facciamo un giretto in paese e compriamo un giornale. L’edicolante vuole incastrarci in una sorta di comizio politico a cui educatamente sfuggiamo. Ancora un po’ di mare, doccia e infine un grazioso ristorante di pesce. Nonostante tutto è stato un bel giorno di vacanza. Domani il ritorno… magari difficoltoso come l’andata ma ci penseremo poi: oggi è soltanto nostro.

arifer.77@libero.it

LUI

La mia prima volta a Gabicce fu nell’estate del 1973, avevo 4 anni e ci sarei tornato nei due anni successivi. I ricordi sono sfumati e lontani ma uno è particolarmente nitido: un lungo pontile che partiva dalla spiaggia e terminava in una sorta di palafitta con un bar o una sala da ballo o qualcosa di simile. Si chiamava Mississippi, forse perché era una struttura bianca e bassa retta da pali neri che rimandava vagamente a uno di quei battelli a vapore che solcano il grande fiume americano. A quei tempi il genere doveva piacere parecchio, Una rotonda sul maregarantì a Fred Bongusto l’ingresso nell’Olimpo degli Sweet Sixties e anche nei miei ricordi di bambino era l’ottava meraviglia del mondo. Poi iniziò il suo lento declino, la vernice bianca incominciò a scrostarsi, i pali arrugginirono, la spiaggia si allargò e il Mississippi rimase lì, un po’ vestigia di un tempo passato, un po’ ecomostro (comunque un cazzotto di cemento e ferro ficcato in mezzo al blu). L’ho rivisto tante volte negli anni recenti, chiedendomi con affetto misto a timore che cosa ne sarebbe stato di lui. Nel 2022 lo hanno ristrutturato, ora ha un’avveniristica copertura a squame di pesce, è eco-compatibile in ossequio allo zeitgeist ed è diventato uno spazio pubblico o un’area espositiva o un’altra di quelle cose che non si capisce bene cosa siano ma che fanno tanto smart e al passo coi tempi. Comunque sia, ci sono salito di nuovo ed è stato emozionante: io non ti avevo dimenticato amico mio, bentornato!

andrea.rovati.broni@gmail.com

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