Margherita mi cura già
Di Carlo Zeme
Un lato del mio carattere con il quale vado poco d’accordo è quello del voler mantenere sempre un profilo basso. «Vola basso e schiva i sassi» – mi dicevano, ma tutta questa cautela non penso che sempre generi i giusti frutti. Domenica scorsa invece ho voluto sbilanciarmi con una botta di vita, appena prima di chiudere gli occhi mi sono girato verso mia moglie Melina e ho sentenziato: «Alla fine sono una roccia… di tutta la famiglia sono l’unico a essere uscito indenne da questa settimana di virus». Il resto della storia potete già intuirla: appena un’ora dopo mi sveglio di colpo, mi giro e rigiro sotto le coperte e poi il drammatico epilogo con una corsa disperata verso il bagno. La frase scolpita in fondo al weekend oltre a non essersi avverata, mi si è addirittura girata contro. Quarantotto ore di isolamento autoimposto, reazione da maschio Alfa medio dinnanzi al 37.5 della colonnina del termometro e tanta solidarietà in famiglia. Il resto del mondo, della città, dei colleghi ha continuato a vivere e correre dietro le tante cose da fare mentre io facevo parte di quei 2 milioni di italiani ammalati di cui parla il telegiornale durante un servizio sul picco influenzale; sono rimasto ovattato nella cameretta di Margherita, l’ho notata dalla prospettiva inedita del lettino raso terra su cui solitamente dorme la piccola, una camera stranamente priva di caos e giocattoli sparpagliati. Una cosa però ha aiutato ad alleggerire il riposo forzato: il saluto di mia figlia ogni mattina prima di uscire per andare all’asilo, lei che con indosso giacca, sciarpa e cappello con tanto di pompon, per mano aggrappata al dito della mamma, barcollava fino a pochi passi da me lanciandomi un bacio. Quell’attenzione di pochi secondi mi ha fatto pensare che questa volta è stata lei a prendersi cura di me, del suo “Papà Ciabatta” che a volte le spara grosse e rimane pure scottato, ma ha imparato da Margherita che si può volare più alto anche dell’influenza!
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