Mattinate da cinema

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Di Carlo Zeme

Ho sempre sottovalutato e in qualche modo denigrato i film americani con la classica trama che vuole il padre appassionato di baseball che a un certo punto insegna al figlio, che lui chiama “figliolo”, a lanciare la palla mentre sta fermo impalato in mezzo al giardino con questi guantoni giganteschi in mano. Sabato scorso, lontani da qualsiasi sceneggiatura di Hollywood, abbiamo trascorso la mattinata insieme io e Margherita, vis a vis, fifty-fifty, io e lei come in un foglio bianco tutto da scrivere. Usciamo, andiamo a fare la spesa al mercato, scorrazziamo per le vie del centro e a pranzo super ricongiungimento famigliare con la mamma: piano perfetto. I miei sogni però hanno cominciato a scricchiolare verso le 9.30 del mattino quando i piccoli denti di Margherita hanno spremuto un mandarino intero sulla maglietta bianca che avremmo usato per uscire. Niente panico: passaggio dal fasciatoio con annesso cambio pannolino che Margherita non prende affatto bene, pianto di disperazione e operazione di convincimento con lei vestita a metà e io già piuttosto sudato. Alle 10.30 siamo ancora nella cameretta tra un paio di libretti aperti e le costruzioni che assomigliano a un cantiere abbandonato. Margherita forse ha sonno, forse non ha voglia di uscire, forse ha voglia di giocare. Io, cocciuto, continuo a provare a riempirla di strati, ma infilata la calza destra con un calcio viene lanciata quella sinistra. Sono le 11, fuori anche i nuvoloni dicono che forse è meglio rinviare tutti i programmi, ma provo a non demordere. Senza troppe pretese la prendo in braccio e comincio a cantare, anzi, ad arruffare testi a caso che come unico senso abbiano rime baciate. Sono le 11.05, Margherita russa da un minuto e qualche secondo prima mi ha guardato negli occhi e mi ha fatto capire che per oggi di uscire, di seguire i programmi non ce n’è. La sceneggiatura, quella che ho sempre denigrato, vorrebbe che fossi riuscito a convincerla, ma la vita, quella vera, non ha nessun papà e “figliolo” che tenga. A volte bisogna imparare a cambiare programma.

carlo.zeme@gmail.com

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