“Minorati” in Costituzione
Di Ennio Chiodi
Mike Bongiorno, per decenni popolarissimo e amatissimo presentatore della Televisione italiana, amava le alte vette e le profondità del mare. Era noto per alcune gaffes, più o meno spontanee, che ne accrescevano la simpatia. La “leggenda” narra che, attorno agli anni ’70, un giornalista che lusingava Mike, definendolo un sub eccezionale, si sentisse rispondere: «Ma no! Sono solo un “subnormale!”». La boutade faceva molto ridere. L’espressione “subnormale” era, allora, considerata sostanzialmente corretta, non comportava intenzioni offensive o addirittura dispregiative, anche se il significato che le si poteva attribuire era già sufficientemente chiaro. La lingua accompagna e tradisce il senso del tempo: talvolta lo precede, talvolta lo racconta e lo sancisce. La parole assumono significati diversi con il trascorrere, anche molto veloce, delle epoche, dei costumi e delle sensibilità: possono essere, ad esempio, strumenti di crescita culturale, ma anche di scontro personale e politico, indipendentemente dalla cosiddetta normalità o dalla cosiddetta diversità, da quello che – di questi tempi – si definirebbe “politicamente corretto”. Termini come “subnormale”, “ritardato”, “menomato”, addirittura “impedito” e, più recentemente, “handicappato” scompaiono gradualmente dal linguaggio comune e condiviso. Resiste “minorato”, protetto, nientemeno, che dalla Costituzione, laddove, all’articolo 38, prevede tutele nel campo dell’assistenza, della formazione e del lavoro per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro difficoltà. Nessun intento discriminatorio può essere attribuito ai padri costituenti impegnati a disegnare un testo legislativo considerato tra i più attenti e saggi del panorama mondiale. Un segno dei tempi appunto, ma un segno, finalmente, da cancellare. Se non se ne preoccupano i nostri parlamentari ci pensa una delle più importanti e prestigiose istituzioni culturali italiane: l’Enciclopedia Treccani che propone la modifica del testo con espressioni più consone alle attuali sensibilità. Le modifiche alla Costituzione prevedono iter complessi, ma non possiamo pensare che su una iniziativa del genere possa mancare un diffuso consenso. Si pensa di operare in maniera analoga su altri testi legislativi e sugli stessi protocolli dell’Inps sostituendo termini oggi considerati discriminatori, con “persona con disabilità” o espressioni simili. Ci si augura che l’eguaglianza di diritti e opportunità prevista e pretesa dalla Costituzione per tutti i cittadini sia sempre più radicata nei provvedimenti e nei comportamenti al di là del senso delle parole e di ciò che le parole “significano” con il passare del tempo. La disabilità – avverte la Treccani – è una ricchezza.
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