Mission impossible?

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Di Ennio Chiodi

Deprivazione sociale; ore rubate al sonno; dipendenza; frammentazione dell’attenzione e della concentrazione. Generazione ansiosa, il libro, frutto di ricerche autorevoli e molto documentate, dello psicologo statunitense Jonathan Haidt – uno tra gli studiosi più considerati al mondo – lascia poco spazio ai dubbi: l’uso degli smartphone prima dei 14 anni e l’accesso ai social prima dei 16 è semplicemente deleterio per la maggior parte dei ragazzi e delle famiglie. Gli adolescenti che trascorrono molto tempo utilizzando i social media rischiano di limitare la loro vita sociale, di isolarsi e autoescludersi, con l’inevitabile appendice di ansia e depressione, più o meno latente; dormono poco – assorbiti dalla vita online – con evidenti conseguenze sulla salute e sul rendimento scolastico; accentuano, in un circolo vizioso subdolo e insidioso, la loro dipendenza dalle esperienze virtuali, che generano gratificazione istantanea e rilasciano buone quantità di dopamina; perdono gradualmente capacità di concentrazione, memorizzazione e di ascolto e quindi di apprendimento. Lo scenario appare tanto grave quanto credibile. La preoccupazione cresce. Anche in Italia, come in molti altri Paesi, si fa strada la via della proibizione, essendosi dimostrata poco praticabile quella della educazione. Una petizione (la trovate su change.org) è stata promossa da alcuni tra i più importanti pedagogisti, medici e psicoterapeuti italiani. Se è vero– sostengono – che le tecnologie migliorano la qualità della vita e la semplificano, offrendo opportunità di conoscenza e di relazione sempre più preziose, questo non accade quando si parla di educazione nella prima infanzia, nella scuola primaria e per molti aspetti nell’età dell’adolescenza. All’appello degli scienziati si uniscono decine di personaggi molto noti del mondo dello spettacolo. Non mancano certamente aspetti positivi nella capacità dei nostri ragazzi di maneggiare strumenti e opportunità offerte dalle tecnologie virtuali, se gestite con consapevolezza, controllandole e non facendosi dominare. Ricette certe non ce n’è. Resiste, fortunatamente, la famiglia, all’interno della quale è possibile cercare una via possibile, con il controllo, il dialogo, l’esempio e la persuasione. Anche noi – genitori, nonni, fratelli maggiori – dovremmo alzare più spesso lo sguardo dai nostri schermi, e puntarlo su quelli dei nostri ragazzi. Costruiamo una scala di priorità nelle nostre relazioni. Una richiesta di aiuto, anche se non esplicita, che giunge dai nostri figli, viene prima di un messaggio della nostra migliore amica o di un collega di lavoro. Proviamoci: non è – anche di questi tempi– una “mission impossible”.

enniochiodi@gmail.com

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