Nel 2022 minimo storico di nascite dall’unità d’Italia
Società. Ormai demografi e sociologi non parlano più solo di “inverno demografico”, ma sono arrivati a evocare una “glaciazione demografica”. Bisogna intervenire subito
Le tendenze demografiche in atto in Italia ormai dal 1993 hanno prodotto, nel 2022, un calo di 179 mila unità nella popolazione, che è risultata di 58,8 milioni; nel 2019, gli abitanti del nostro Paese erano 59,8 milioni: 1 milione in più! Sempre nel 2022, le nascite sono scese al di sotto di quota 400 mila, facendo segnare il minimo storico di nuovi nati dall’Unità d’Italia, con 393 mila unità.
Ormai demografi e sociologi non parlano più solo di “inverno demografico”, ma sono arrivati a evocare una “glaciazione demografica”. Il problema – grave e non facile a causa delle sue molteplici implicazioni – è stato oggetto di dibattito anche durante il Forum Ambrosetti, tenutosi a Cernobbio nei giorni 1, 2 e 3 settembre scorso. In apertura della 49esima edizione, davanti al gotha della finanza, Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House-Ambrosetti, ha affermato che tra due secoli (nel 2225) nascerà in Italia l’ultimo bambino e 82 anni più tardi, alla sua morte, nel 2037 il popolo italiano cesserà di esistere.
Al di là dello scenario distopico prospettato, il calo delle nascite ha pesanti conseguenze sugli aspetti economici e sociali. Nel 2021, l’Istat ha previsto un calo dei residenti italiani a 54,1 milioni per il 2050 e a 47,6 milioni nel 2070, evidenziando un quadro di particolare gravità. Nel 2050, infatti, il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3, mentre i cittadini in età lavorativa scenderanno, in un trentennio, dal 63,8% al 53,3% del totale. Questa tendenza, se confermata, rischia di provocare effetti molto negativi anche sotto il profilo economico.
De Molli, ad esempio, è arrivato a paventare una «apocalisse demografica», che si tradurrebbe in «una perdita economica pari a un terzo del PIL. Solo un raddoppio della produttività, obiettivo oggettivamente irraggiungibile, consentirebbe di evitare la riduzione del Prodotto Lordo.
Il calo della popolazione e del numero degli attivi dovuto all’invecchiamento dei residenti renderebbe insostenibile l’attuale modello di welfare. Il rapporto debito pubblico – PIL esploderà raggiungendo il 200% nel 2070; alla nascita ogni persona si troverà con un debito pari a 127 mila euro; la spesa sanitaria pubblica raggiungerà i 220 miliardi nel 2050».
Un’inversione di rotta è dunque necessaria e sempre più urgente. Gli strumenti – e gli esempi di altri Paesi (come la Francia) – ci sarebbero e, anzi, erano già stati previsti dal Governo cioè dal Dipartimento per la Famiglia, con il primo Piano Nazionale per la Famiglia nel 2012. A maggior ragione ora si tratta di agire in primis sull’immigrazione, aumentando le quote di permessi di soggiorno per motivi di lavoro, curando l’attrazione di immigrati qualificati e favorendo integrazione e mobilità sociale; in secondo luogo, è necessario investire, con continuità e coerenza, nelle politiche di conciliazione vita-lavoro, sviluppando una narrativa positiva della maternità e di una genitorialità condivisa e paritaria e implementando una adeguata educazione all’affettività dei giovani.
È chiaro, però, che il contrasto al declino demografico richiede, oltre agli indispensabili interventi culturali, un serio programma di investimenti in nuove abitazioni, l’incremento della componente dei servizi socio-assistenziali e dei benefici fiscali, l’attenzione all’occupazione giovanile e alla partecipazione femminile al mercato del lavoro: insomma, politiche familiari non frammentarie, ma organiche e parte integrante delle politiche di sviluppo. Purtroppo, su questo tema, al di fuori degli addetti ai lavori e delle associazioni delle famiglie, l’opinione pubblica è quasi assente: sulla sua indifferenza pesa forse l’idea che ciò riguarderà i posteri; ma una comunità attenta deve essere consapevole che questi provvedimenti non sono più rimandabili, vanno assunti ora, perché, in demografia, per una inversione di tendenza, occorrono venti-trenta anni.
Glaciazione demografica e scioglimento dei ghiacciai formano una contraddizione solo apparente; in realtà i due fenomeni, non meno del grido della Madre Terra inquinata e dei figli mai nati o morti di stenti e di migrazione, appartengono – come non smette di ricordarci Papa Francesco – al medesimo orizzonte socioeconomico dimentico del valori sui quali pure si fonda.
Cesare Raviolo