Nel mondo del lavoro uomini e donne non hanno gli stessi diritti
Pagina a cura del CIF di Tortona
Malgrado l’art. 37 della Costituzione Italiana sancisca che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, una piena parità non è stata ancora raggiunta. I dati ISTAT dello scorso anno denunciano, infatti, che, in alcuni settori e per talune qualifiche, le retribuzioni femminili possono essere inferiori del 20% rispetto a quelle maschili, con picchi che arrivano anche al 40%. Al superamento di questa profonda ingiustizia, culturale ed economica, che ancora blocca le donne nel loro percorso lavorativo, mira una legge recentemente approvata dal Parlamento, la legge 162/21 “in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”. Un provvedimento importante, purtroppo trascurato dai media, al quale il Centro Italiano Femminile di Tortona, di cui è presidente Monica Graziano, intende riflettere in occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna.
Legge 162 del 5 novembre 2021: il punto dell’esperto. Novità in tema di pari opportunità lavorative
A distanza di una quindicina di anni dall’adozione del Codice delle Pari Opportunità, il legislatore interviene nuovamente sul tema con una legge di modifica sorretta dall’intento dichiarato di rafforzare la tutela della parità tra uomo e donna in ambito lavorativo.
Cambia la definizione di discriminazione
La legge 162 amplia significativamente la nozione di discriminazione che risulta oggi integrata non più solo in caso di trattamenti meno favorevoli legati allo stato di gravidanza, di maternità o paternità del lavoratore. La disciplina prevede, infatti, che possa costituire comportamento pregiudizievole ogni modifica dell’organizzazione aziendale, delle condizioni e dei tempi di lavoro che, a motivo del sesso, dell’età anagrafica o delle esigenze di cura personale o familiare, comporti per il lavoratore una posizione di svantaggio rispetto agli altri colleghi, oppure una limitazione nelle opportunità di partecipare alle scelte aziendali o di accedere ai meccanismi di progressione nella carriera. L’effettività di questa tutela viene promossa da un lato rendendo più pregnante attraverso un rapporto a cadenza biennale sulla situazione del personale maschile e femminile; dall’altro, si affida a uno strumento tutto nuovo rappresentato dalla Certificazione delle aziende riguardo alla parità di genere.
Rapporto biennale e Consigliere di parità
Quello del rapporto biennale costituisce un adempimento già operante e che è reso adesso più pregnante a vari livelli. Innanzitutto riguardo ai dati che l’azienda deve evidenziare: numero dei lavoratori occupati di sesso femminile e di sesso maschile, importo e differenze tra le retribuzioni fisse e variabili dei lavoratori di ciascun sesso, inquadramento contrattuale e funzione svolta da ciascun lavoratore occupato. In secondo luogo attraverso la modalità di trasmissione che diventa, ora, telematica e basata su un codice che individua in modo univoco ciascuna azienda. Infine, quanto al soggetto destinatario del rapporto, esso è rappresentato non più dal Ministro del lavoro, ma dal Consigliere nazionale di parità, appositamente nominato con il compito di presentare al Parlamento una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della normativa in tema di pari opportunità.
Certificazione della parità di genere
La previsione, contenuta nel nuovo articolo 46-bis inserito nel Codice delle pari opportunità, rappresenta un sistema del tutto inedito di premialità per le aziende virtuose.
Si tratta di uno strumento che ha lo scopo di attestare le politiche e le misure concretamente adottate al fine di ridurre il divario di genere; si intende promuovere così il raggiungimento della parità salariale, il ricorso a politiche di concreta gestione delle differenze di genere, nonché il miglioramento delle tutele legate alla maternità.
La certificazione, in vigore dal 1° gennaio scorso, è per il momento obbligatoria solo per le aziende pubbliche e private che occupano più di cinquanta dipendenti.
Spetterà a un successivo Decreto Ministeriale definire nello specifico i parametri minimi per il conseguimento della certificazione e le modalità di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro, così come i sistemi di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e le forme di pubblicità per le aziende virtuose.
Si conoscono, invece, già alcuni degli strumenti premianti, rappresentati principalmente da esoneri contributivi, dal riconoscimento di migliori punteggi nei bandi di gara e dalla preferenza nell’accesso ai fondi europei, nazionali e regionali di finanziamento degli investimenti.
Michela Bartolini – Avvocato
La testimonianza: Maria Cristina Goggi. «La donna è sempre stata penalizzata. Basta con le quote rosa»
Maria Cristina Goggi, di Tortona, è laureata in Matematica (indirizzo applicativo) all’Università di Pavia. Ha iniziato la sua carriera in Graziano, società metalmeccanica del Tortonese, collaborando direttamente con il direttore di Produzione nell’ambito di produzione, logistica, acquisti e controllo gestione per ottimizzare il ciclo produttivo e logistico. Dal 1993 ha lavorato in Cavis, nel settore cablaggi in area automotive, ricoprendo il ruolo di responsabile organizzazione e sviluppo in ambito IT. Negli anni successivi ha lavorato nel Gruppo Valeo come IT Manager della business unit Fiat seguendo i marchi Fiat, Alfa Romeo , Lancia ecc. E ha coordinato le attività IT degli stabilimenti produttivi italiani ed esteri. Dopo l’acquisizione delle branche cablaggi da parte della Leoni (multinazionale tedesca, primo cablatore in Europa) dalla Valeo, è stata per 12 anni organization manager (manager dei capi progetto informatici) dell’area sud Europa (Italia Francia, Spagna, Portogallo, Romania, Russia, Marocco e Tunisia). Dal 2009, quando la sede è divenuta Tolosa (Francia), ha frequentemente lavorato nei Paesi della stessa area facendo capo al direttore IT “process consulting production quality and logistic” del gruppo in Germania.
È coordinatrice territoriale Alessandria e Asti del Gruppo Minerva (Quote rosa) che è un ramo di FederManager (Associazione nazionale dirigenti).
In merito alla legge 162 del 5 novembre 2021 dal punto di vista aziendale che cosa cambia esattamente per le donne nel mondo del lavoro?
«Con questa legge spero, che le donne siano più tutelate e che si limitino le disparità sia a livello retributivo sia a livello organizzativo. Anche se deve esserci una volontà aziendale molto forte per seguire questa filosofia. Riconosco, anche per mia esperienza personale, che non sempre le aziende applicano questa linea, anzi negli anni passati la disparità tra i due generi era veramente marcata.
Secondo me non sarebbe dovuta essere necessaria una legge per sancire un trattamento paritario tra uomo e donna da parte delle imprese, che dovrebbe essere una condizione normale. Un manager dovrebbe essere in grado di valutare competenze e valori della persona indipendentemente da genere, cultura, religione e altro e prediligere il candidato con più valore».
Qual è la sua esperienza di donna manager per quanto riguarda la parità salariale tra uomo e donna e la parità nel mondo del lavoro?
«Fino agli anni 2000, quando lavoravo per una società italiana, la disparità era molto marcata. Per emergere dovevi lottare e importi su un mondo prettamente maschile. Per darvi un’idea, quando partecipavo in quegli anni ai meeting IT, dove erano presenti tutti gli IT manager del gruppo (circa 300 persone provenienti da tutto il mondo), la presenza femminile non superava il 5% dei partecipanti. Nel periodo in cui lavoravo in Francia, capogruppo prima francese e poi tedesco, le disparità si sono molto appiattite, soprattutto nell’ultimo periodo lavorando con l’organizzazione tedesca, dove erano valutate le capacità personali in modo razionale.
La donna è sempre stata penalizzata a causa dalla maternità e della famiglia, doveva rinunciare a posizioni direttive per via dell’impegno richiesto dal ruolo che non sarebbe riuscita a mantenere se non rinunciando alla sfera famigliare. Oggi, con il welfare, il lavoro home office, gli asili nido nelle aziende, gli strumenti informatici, la flessibilità di orario e altro, penso sia agevolata e possa decidere di accettare una posizione manageriale senza penalizzare la parte famigliare.
Ritengo che ci sia ancora della strada da fare ma i risultati ottenuti fino ad ora mi sembrano positivi. Mi augurerei che in futuro non si dovrà più parlare di quote rosa ma che le scelte degli imprenditori siano basate sulle capacità e competenze della persona e non influenzate dal genere della persona».