Non chiamatelo “apericena”

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di Patrizia Ferrando

Dare un nome a cose e occasioni, in un modo di esprimersi condiviso, è un elemento del vivere in un gruppo sociale. Premessa seria, per scivolare verso un assioma semiserio e affrontare un argomento leggero: capita che si affermino denominazioni opinabili, se non proprio orrende, ma quasi sicuramente accadrà di doverle usare, pena fraintendimenti. Andiamo dunque a dare uno sguardo ai confini della convivialità, nel mondo degli aperitivi.

Alcuni pensano che l’happy hour sia un modo internazionale di chiamare l’aperitivo, ma d’altro si tratta.

L’aperitivo, in senso tradizionale, è anticamera propedeutica alla cena e non può sostituirla. Consiste, infatti, in una bevanda, alcolica o analcolica, servita prima del pasto e accompagnata da semplici stuzzichini salati.

L’aperitivo è un ottimo modo di accogliere gli ospiti tra le mura di casa, perché aiuta a rompere il ghiaccio, a “svegliare le papille gustative” e ad ammorbidire l’attesa quando gli ospiti giungono alla spicciolata.

I galatei hanno regalato consigli anche per l’aperitivo, almeno da circa un secolo fa, quando lo si chiamava vermouth.

Si allestisce in un luogo diverso da quello predisposto per il pasto principale, possibilmente all’esterno, ma anche in una cucina accogliente o in una zona di passaggio ma ampia a sufficienza.

Già dall’arrivo del primo ospite si comincia a offrire.

È necessario prevedere un minimo assortimento di proposte sia analcoliche sia alcoliche. I cocktail analcolici vanno preparati in una brocca di vetro o cristallo, servendo chi lo sceglie nel momento in cui ne chiede un bicchiere, quelli alcolici in bottiglia vanno aperti all’arrivo del primo ospite.

Gli stuzzichini devono essere semplici, nel sapore e nella forma, disposti su più vassoi. Per ogni ospite bisogna calcolare almeno due bicchieri e dai quattro ai sei bocconcini.

La moda dell’happy hour, contrariamente alla lingua utilizzata, è invece tutta italiana. La sua nascita si deve ad alcuni locali di Torino e Milano che ebbero l’idea di offrire, a prezzo conveniente, drink accompagnati da piattini nell’orario di uscita dal lavoro.

L’happy hour è divenuto come un eventuale sostituto della cena, prendendo talvolta il nome di “apericena”, termine del tutto sconosciuto nell’ambito del galateo, e che personalmente trovo orribile, un’informale alternativa anche all’invito a tavola domestico.

Viene quindi messo a disposizione un vero e proprio buffet, ricco di varietà di cibi: finger food, assaggi, tartine, olive, affettati, scaglie di parmigiano, primi piatti, degustazioni di formaggi. E, per far capire di che invito si tratta, può accadere di chiamarlo apericena.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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