Non si fissano le persone
di Patrizia Ferrando
Mi capita spesso d’interrogarmi sui contenuti da portare in questa pagina, soprattutto perché non mi considero una maestra di educazione, casomai una persona che attribuisce valore alla gentilezza e ai comportamenti armoniosi e ama approfondire e comprendere tali temi. Alla fine sono non di rado i risultati di ricerca e riflessione che condivido con voi, con implicito invito a procedere!
Una cosa la dico sempre: si possono conoscere a memoria e replicare le regole del galateo e rimanere comunque dei maleducati.
Succede quando vengono usate in modalità errata, ovvero per distanziarci, per metterci uno scalino sopra agli altri o per atteggiarci, non si sa a poi a cosa.
Ho riletto una frase di Lina Sotis, tratta dal suo famoso manuale del 1984, che titolava, appunto, Bon Ton, e mi ci sono ritrovata: “Non si può avere bon ton senza essere educati, ma si possono applicare tutte le norme della buona educazione e non avere bon ton”.
Bon ton è sapersi adattare, con grazia e senza affettazione, alle diverse situazioni mostrandosi a proprio agio. Certo, il bon ton prevedere di padroneggiare con naturalezza le regole del galateo… ma secondo me implica anche di saperle mettere da parte quando la situazione è informale e, terzo ma importantissimo, richiede modi di fare che pervadano le nostre azioni di una serie di componenti e modulazioni.
Lo spunto che vi propongo è davvero minimo, una tra le regolette oggetto di raccomandazioni e rimbrotti ai bambini: non si fissano le persone. Chiunque sa che, su un mezzo pubblico, in chiesa, in una sala d’aspetto, al ristorante, insomma, ovunque si raduni gente, risulterebbe davvero pessimo posare con insistenza il nostro sguardo su chicchessia. Perché? Fermarci a chiedercelo conferisce nuova linfa al nostro distogliere gli occhi per introiettato automatismo.
Io ho trovato le “mie” due risposte. La prima si avvicina di più a un’interpretazione a carattere empatico dei rapporti interpersonali: sentirsi osservati con insistenza mette a disagio, addirittura in imbarazzo, quindi non facciamo agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. La seconda interpretazione suona più analitica e proviene dall’area di studi sociologici che, a volte, hanno attinto ai galatei quali documenti dei costumi. Perfino in chiave atavica, fissare significa far preda, traspare un intento minaccioso o di desiderio. Quindi, se non guardiamo i nostri sconosciuti, facciamo loro sapere di non rappresentare un pericolo, una cattiva intenzione e di non prepararci nemmeno a qualche inopportuna e inopinata profferta. Giungeremo, infine, a ignorarli senza estraniarci, proprio come i britannici “very polish” in metropolitana.
patrizia.marta.ferrando@gmail.com