Nonna Assunta, la proletaria
di Maria Pia e Gianni Mussini
Come da inevitabile grancassa mediatica, l’8 marzo ci invita ogni anno a riflettere sulla donna e sulla sua dignità troppo spesso violata (la pallavolista citata in tribunale per la grave colpa di essere incinta grida vendetta!). Ma Gianni e Maria Pia, pur non essendo per fortuna una coppia idilliaca, non hanno mai avuto tra di loro questioni di questo tipo: hanno trovato un equilibrio (soprattutto per merito di lei, come riconosce il marito) che non tollera rivendicazioni e semmai le stronca sul nascere grazie a robuste dosi di umorismo. A loro basta sapere, Genesi alla mano, che Dio “maschio e femmina li creò”. Fine della discussione.
Però proprio l’8 marzo è arrivato su Facebook il messaggio di un fratello di Gianni in cui si celebrava la nonna Assunta, inconsapevole campionessa di quel “genio femminile” di cui parlava san Giovanni Paolo II.
Nove figli (ma la Spagnola e altre complicazioni se ne portarono via altri cinque), a cinquant’anni già sembrava una bella vecchietta. Poi si è fermata, tanto che, quando è morta quasi centenaria, era ancora la stessa ragazzina dei suoi cinquant’anni.
Moglie del sarto socialista di Pinarolo Po, aveva accettato che il buon parroco li sposasse nella cucina di casa perché il marito si vergognava dei compagni. E i primi figli ebbero tutti nomi “militanti”: l’eretico Giordano Bruno, bruciato vivo il 17 febbraio del 1600, aveva prodotto un Giordano, un Bruno e una Bruna, la mamma di Gianni. Poi, dal laicissimo Silvio Spaventa, ecco un Silvio e una Silvia… Tutti buoni come il pane, nelle inevitabili complicazioni della vita si sarebbero aiutati e avrebbero aiutato tutti con generosità priva di smancerie. Cristianesimo puro.
Narra l’aneddotica familiare che la nonna avesse sempre un bambino attaccato al seno, e in mano ago e filo con cui aiutava il mari-to. A proposito, una volta i fascisti locali commissionarono al nonno le camicie nere d’ordinanza. Gliele confezionò («tùt i pùnt una bestémia», ricordava la nonna) ma non volle farsi pagare, con la seguente ragionevole spiegazione: «Nanca un sold da mort ad fam ‘me vialtar».
Quando il marito, andato in Comune a prendere quaderni e libri che il regime elargiva alle famiglie numerose, rifiutò di fare il saluto fascista, fu la nonna con il suo buon senso materno a risolvere la questione: si presentò il giorno dopo con qualche figlio per mano, fece un gesto in un certo modo somigliante al saluto fascista, infine voltò i tacchi mormorando: «Rasa da stùpid, tant me i lìbar li ò ciapà».
Belli i tempi in cui i socialisti erano ancora dalla parte dei proletari, cioè di chi altro non aveva che la “prole”, e dalla parte dei bambini. Oggi, chissà perché, i “progressisti” si fanno prendere da battaglie oggettivamente reazionarie, che sviliscono la prole o, peggio, la sopprimono sul nascere anziché aiutare le donne a diventare mamme.