Ore e ore di attesa per essere curati
Sanità. In provincia di Pavia mancano medici e infermieri. E i tempi di permanenza al Pronto soccorso si sono allungati, qui come altrove, a dismisura. Noi abbiamo trascorso due giorni in quello del Policlinico “San Matteo”
DI MARCO REZZANI
È un venerdì pomeriggio, verso sera. L’ambulanza arriva al Pronto soccorso del Policlinico di Pavia. Sopra c’è mio suocero. Viene scaricato e posto sulla barella e il primo passo che deve compiere è il cosiddetto “triage”, ovvero una rapida valutazione della condizione clinica dei pazienti attraverso l’attribuzione di una scala di codici colore (bianco, verde, azzurro, arancione, rosso) volta a definire la priorità di trattamento.
A lui viene assegnato il codice verde, per fortuna un’urgenza minore che, stando alle linee guida nazionali in materia, prevede un accesso alle aree di trattamento entro 120 minuti. Viene quindi portato in una sala del Pronto soccorso dove con lui ci sono 4 pazienti in barella più alcuni seduti in attesa. Anche le altre camere e il corridoio sono pieni di utenti. Nelle ore successive seguono il colloquio con infermieri e medico, esami ematici e un’ecografia. In tarda serata gli viene somministrata la prima dose di antibiotico con l’annuncio che sarebbe stato sottoposto a Tac, cosa che accade il giorno successivo, a mezzogiorno.
La “degenza” in Pronto soccorso si conclude alle 20 di sabato con il ricovero in reparto. In due giorni ho toccato con mano quello che accade in quello spazio. Per certi versi già qualcosa sapevo avendolo frequentato anni fa, ma dal fronte opposto, cioè di chi da volontario di Croce Rossa sull’ambulanza vi trasporta feriti e ammalati. Un arrivo continuo di persone, da chi è vittima di infortunio o incidente a chi riferisce malori o dolori, a chi “abusa” del servizio. In ogni caso un’umanità dolente e impaurita.
Ebbene, è inutile negarlo: i tempi di attesa si sono allungati. E di molto. Basti pensare che nella saletta di mio suocero un uomo staziona lì da 5 giorni, in attesa di “traslocare” in reparto. Almeno per lui la magra consolazione di avere un letto più confortevole della barella, con il cuscino portatogli da casa dalla moglie.
Mi ha fatto tenerezza vederlo costretto a farsi la barba nei servizi destinati agli accompagnatori, alla faccia di un minimo di privacy. Una signora seduta accanto a me accarezza più volte quello che immagino essere suo figlio, sulla ventina. Gli tocca la fronte, lo sente caldo; scrive sul cellulare un messaggio: “Mario (nome di fantasia, ndr) ha febbre alta, pensano ad un focolaio, gli hanno fatto esami e radiografia, qui ci vuole solo molta, molta pazienza”.
Pazienza. Parola magica. Quella che devono avere certo i pazienti (“chi ha la virtù o la qualità della pazienza”, secondo la Treccani e non poteva esserci sostantivo migliore per identificare i frequentatori di ospedali) ma anche medici, infermieri, operatori socio sanitari e addetti al trasporto interno. Uomini e donne straordinari che ho visto correre da una parte all’altra del Pronto soccorso senza fermarsi un attimo.
Sono lunghe dodici ore di lavoro in una struttura così complessa. Eppure da loro vengono sempre un gesto di attenzione, un sorriso, anche una battuta per stemperare il disagio e la sofferenza. Una professionalità davvero non comune. Da ammirare.
E pensare che in troppi casi ormai, in tutto il Paese, c’è chi minaccia e addirittura usa violenza nei confronti degli operatori sanitari. Quasi fosse colpa loro il fatto di essere in pochi, troppo pochi per una mole di lavoro da tempo diventata insostenibile.
Non siamo noi a dirlo. Sono i dati ufficiali che parlano, per la provincia di Pavia, di 8 infermieri ogni 1.000 abitanti, 1 in più rispetto alla media nazionale. Negli ospedali e nelle Case di Comunità di Pavia e del Pavese mancano 600 infermieri. Nel suo ultimo rapporto sul Servizio sanitario nazionale, la Fondazione “Gimbe” definisce questa situazione “drammatica”. In provincia di Alessandria il “deficit” sarebbe di 220 unità. Il lavoro è tanto, la responsabilità pure e gli stipendi sono rimasti al palo, “altamente insufficienti” secondo le varie sigle sindacali che chiedono un aumento di 300 euro in busta paga per gli infermieri.
«La perdita di attrattività della professione infermieristica è legata alla scarsa retribuzione e all’impossibilità di un concreto sviluppo di carriera. – spiegano i rappresentanti sindacali pavesi della sanità Patrizia Sturini (Cgil) e Andrea Galeppi (Uil) Un infermiere che lavora nel settore pubblico con il Ccnl Sanità ha uno stipendio base di circa 1.500 euro, mentre nella vicina Svizzera quello annuo supera i 70.000 mila euro (fino a 100 mila), ossia 4.000 euro netti al mese.
Due fattori non invogliano: carichi di lavoro sempre più pesanti e mancato riconoscimento sociale ed economico».
«La situazione presentata nell’ultimo report Gimbe è allarmante anche in provincia di Pavia. – sottolinea Galeppi – La disaffezione alla professione infermieristica viene alimentata da scarsa organizzazione e da stipendi troppo bassi, i più bassi d’Europa. A livello nazionale stanno trattando per il Ccnl e si parla di un aumento medio di 50 euro. Sarebbe bene che lo Stato iniziasse a pensare di aumentare gli stipendi del personale infermieristico, aumenti cospicui e non la solita elemosina, cercando di stimolare i giovani a intraprendere questi percorsi di studio».
Già, nessuno più vuole fare l’infermiere. In Università a Pavia i posti alla facoltà di Scienze infermieristiche rimangono in parte deserti: nell’anno accademico 2023-24, su 291 posti disponibili a Pavia, 135 sono rimasti vacanti, e sono state presentate 156 domande. Senza dimenticare il fenomeno della “fuga” dal pubblico al privato dove si guadagna di più.
«Gli ospedali sono sguarniti perché gli infermieri sono usciti per trasferirsi nelle case e negli ospedali di comunità, nonché nelle centrali operative. – spiega il presidente dell’Ordine degli Infermieri di Pavia Matteo Cosi Senza contare chi sceglie le strutture private. Come invogliarli ad accettare un’assunzione nel settore pubblico? Bisogna coinvolgere i sindacati nella richiesta di una retribuzione economica specifica che sia soddisfacente».
L’Asst di Pavia ha indetto nuovi concorsi per l’assunzione di una sessantina di infermieri e altri due concorsi stanno per partire, mentre il Policlinico “San Matteo” ha annunciato entro dicembre un nuovo bando per la copertura di 80 posti.
Mancano anche i medici. Su questo fronte, lo scorso 16 ottobre la settima commissione del Senato ha dato il via libera a un disegno di legge che rivede le modalità di accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia con l’abolizione del numero chiuso al primo semestre, permettendo l’iscrizione aperta a tutti gli aspiranti medici senza sostenere i test d’ingresso.
Vedremo come andrà a finire.