Per l’ex Ilva è partito il ricorso
Il lavoro negato e le sue condizioni
NOVI LIGURE – Forse per l’ex Ilva potrebbe esserci ancora una piccola speranza. In settimana sarà depositato, in Tribunale a Milano, dai legali dei commissari straordinari il ricorso con urgenza e cautelare, ex articolo 700, sulle mancate condizioni giuridiche del recesso del contratto di affitto, preliminare alla vendita. In base a questo ricorso Arcelor Mittal è obbligato ad andare avanti.
Il gruppo siderurgico ha depositato, sempre nel palazzo di giustizia milanese, l’atto con cui chiede il recesso del contratto.
I commissari contestano che lo scudo penale non sia una condizione che consente il recesso del contratto da parte di Arcelor Mittal e che l’altoforno, al contrario di quanto sostiene la multinazionale, non è spento. Maurizio Landini, segretario della Cgil, definisce “utile” una presenza dello Stato nell’acciaieria: «Noi troveremmo utile che dentro alla società ci fosse anche una presenza pubblica: era una delle cose che si stava discutendo da tempo. Il Governo deve decidere con quale strumento esserci». Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri, però, sull’ipotesi di nazionalizzazione dell’ex Ilva ha voluto precisare che i costi di un risanamento industriale tutti addossati allo Stato sarebbero «una pericolosa illusione».
Il “nostro” Giuseppe Turani, giornalista ed editorialista della rivista “Uomini&Bussines”, nel suo articolo “Chiudere l’Ilva subito” (dell’8 novembre) ha scritto che è “inutile ricordare che l’Ilva di Taranto nasce a opera dello Stato e non dello Spirito Santo: si è arrivati alla decisione di venderla perché era un disastro. Per un minimo di bonifica servono 4-5 miliardi, che lo Stato non ha. Arcelor li aveva messi sul tavolo. Ma adesso li ha ritirati. Oro alla patria? (…)». Il premier Conte ha precisato: «Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini concordati, piena occupazione e acquisto dell’ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo». Conte, infatti, ha chiesto un nuovo incontro con i titolari e ha annunciato la battaglia legale.
Nel frattempo i dipendenti dello stabilimento ex Ilva di Novi Ligure hanno proclamato lo sciopero martedì 12 novembre e hanno allestito un presidio davanti alla fabbrica e uno presso la prefettura di Alessandria.
Le organizzazioni sindacali Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil, unitamente alle rsu dello stabilimento, hanno chiesto di essere ricevute dal prefetto per manifestare «la propria preoccupazione, ma anche la rabbia di chi da anni non vede un futuro per il proprio posto di lavoro in un settore e in un territorio già pesantemente colpiti dalla crisi industriale».
I sindacati sono convinti del fatto che non si possa rimettere in discussione l’equilibrio basato su un piano industriale e ambientale in cui Arcelor Mittal si era impegnato a mantenere l’occupazione e la produzione dell’acciaio da Taranto a Genova, Novi,Racconigi, Marghera.
Il capogruppo di Leu a Montecitorio, Federico Fornaro, ha ribadito che «se Mittal decidesse di lasciare e non rispettare gli accordi presi, è necessario tenere comunque aperta l’Ilva per salvaguardare l’occupazione e continuare con l’ambientalizzazione del sito produttivo tarantino.
L’acciaio è un asset strategico, il Governo ha l’obbligo di esplorare la possibilità di una nuova e rinnovata presenza pubblica nell’azienda». Oggi, giovedì 14 novembre, si terrà un nuovo Consiglio dei ministri sul tema.
Daniela Catalano