«Per me la Poesia è un violento corso d’acqua»
Luigi Maruzzi alla sua “prima” in veste di scrittore
È in libreria Lentamente la dolcezza di Luigi Maruzzi, alla sua “prima” in veste di scrittore. Edito per i tipi di Morcelliana, è stato presentato lo scorso 30 novembre nella storica palazzina del Teatro “Parenti” di Milano. Tra gli ospiti, Arnoldo Mosca Mondadori, poeta e saggista, che ne ha curato la Premessa. L’autore, pavese, vanta una lunga attività nel settore della filantropia istituzionale e numerose collaborazioni con “Vita” e con quotidiani e riviste.
Lo abbiamo incontrato e abbiamo dialogato con lui del suo libro.
Qual è stata la scintilla che ha fatto scoccare in te il desiderio di scrivere un libro?
«Non posso negare che Lentamente la dolcezza sia frutto del dolore che ho cominciato a sperimentare qualche anno prima che la scomparsa di mio padre potesse materializzarsi in una perdita irreversibile. La verità è che il libro – concepito con una sua identità – è scaturito da un’amicizia. Scrivo poesie da quando avevo 16 anni. A 18 ho cominciato a comporre testi e musiche per le mie canzoni. Dopo una frequentazione discontinua, oltre una dozzina d’anni fa ho sentito una nuova forza ispiratrice che non ho più abbandonato».
Perché questo titolo?
«All’inizio fui attratto dall’idea di chiamare il libro “La stagione generosa”, sia per un elemento linguistico (nel dialetto garganico la stagione identifica l’estate) sia perché ho sempre conservato la memoria dell’infanzia come una sola lunga stagione trascorsa in terre remote. In quelle due semplici parole ho anche intravisto la possibilità concreta di aderire al manifesto etico scritto dal manager/poeta Piermario Vello (La società generosa). Credo, comunque, che il verso da cui è stato tratto il titolo definitivo sia tale da condensare tutte le suggestioni originarie».
Ci parli del tuo concetto di poesia?
«Nella sua premessa al libro Arnoldo Mosca Mondadori parla di “poesia vera”, una definizione all’interno della quale si sviluppa una tensione tra due concetti apparentemente antagoni- sti. Da una parte la poesia, che cammina sul filo della fantasia fino a toccare la dimensione del soprannaturale; dall’altra la verità, che ci riporta al fango della creazione. Per me la Poesia è un violento corso d’acqua che scendendo dalla sua fonte porta a valle tutti i detriti della memoria. Con la sua imprevedibilità e senza imporre regole assolute, essa allontana lo spettro della solitudine e alimenta lo spirito quando diventiamo poveri di tutto».
Leggendo il libro si ha l’impressione di entrare in una casa fatta di 12 stanze. Te la senti di svelare qualcosa di più della tua scrittura?
«Potrei dire, per esempio, che il libro è zeppo di richiami al mondo dell’arte e che i titoli di alcuni brani rivelano con immediatezza la presenza di questo ospite speciale (Visita allo studio, Cavalletto marino). Per non parlare di pittori e scultori che vengono introdotti attraverso il solo nome di battesimo (Sartorio, Vela, Altamura). Altre volte è la mancanza del titolo a celare il personaggio ispiratore, come nel caso della poesia 33 che ho scritto pensando ad una statua di G. Strazza (Ismaele abbandonato nel deserto)».
… e il discorso sulla bellezza è spesso associato a quello religioso.
«In un certo senso, è così. Nel primo capitolo la dimensione religiosa riecheggia nei versi di tutte le poesie. Ma è soprattutto con la declinazione plurima del “tempio” (cap. X) che l’anelito alla spiritualità viene posto sotto i riflettori».
Il libro è stato presentato a Milano lo scorso 30 novembre. Quali sensazioni hai provato nella storica palazzina del Teatro “Parenti”?
«Un alternarsi di euforia e panico. Nel frattempo, la sala s’era riempita, Testori aveva dato il benvenuto e pure Petrarca aveva preso posto vicino al pianoforte suonato da Alice Baccalini. Non avrei mai potuto tirarmi indietro sapendo di rinunciare a un’occasione così preziosa per mostrare la mia anima al mondo».
Marco Rezzani