Perché in inglese si fa così?
Di Davide Bianchi
È un luogo comune diffuso e radicato ritenere la lingua inglese un idioma generalmente semplice e di conseguenza facile da imparare. È altrettanto comune, e direi piuttosto naturale e spontaneo, quando si vuole definire dall’esterno la forma logica di una determinata lingua (nel nostro caso l’inglese) ricorrendo al nostro idioma di appartenenza (italiano), generare una serie di raffronti che il più delle volte ci portano a conclusioni non sempre rispondenti al vero. Partiamo dal fatto che già l’atto stesso di definire i confini e le fondamenta (morfologiche, fonetiche, sintattiche, semantiche, etimologiche, pragmatiche, culturali, ecc.) di una lingua straniera, la sua essenza o identità, utilizzando un’altra lingua, ossia la nostra, sia per sé (per quanto necessario e inevitabile) un salto nel vuoto, un vertiginoso sporgersi sull’orlo di un abisso senza fondo. È un gioco paradossale e imprescindibile che il più delle volte ci obbliga ad accettare la distanza e il carattere irriducibile e opaco dell’idioma che vorremmo, in maniera presuntuosa ed etnocentrica, rendere diafano e trasparente, quasi sovrascrivibile al nostro linguaggio. Pensate a quante volte, studiando una seconda lingua, abbiamo dovuto imparare a memoria una regola grammaticale o una serie di verbi, sforzandoci affinché ci entrassero in testa, obbligandoci a pensare in quella lingua e non nella nostra. Si impara a memoria, faticando parecchio, facendo a tratti violenza al nostro cervello, proprio per il fatto che non possiamo spiegare quella regola, non siamo in grado di dire perché è così e non altrimenti, non ne possiamo dare le ragioni e il senso; ancor di più nella nostra lingua. È a questo punto che la didattica dell’insegnare e la pratica dell’imparare una seconda lingua si stagliano su uno sfondo che è di natura etica. Il dialogo inesauribile tra le due lingue ci obbliga a pensare e riconoscere l’esistenza di strutture e regole che sono lì davanti a noi, ma che non possono essere spiegate e ricondotte al nostro sistema di appartenenza. «Maestro, perché in inglese si fa così?» – mi domandano giustamente i bambini dinnanzi a una regola grammaticale. Non esiste risposta a questa domanda e il tema etico del silenzio consiste proprio nel prenderne atto, nel riconoscere e accettare la distanza, la differenza, l’irriducibilità quali valori fondanti. D’altronde il dialogo, per sua stessa natura, prende vita e si alimenta proprio attraverso gli scarti, le discordanze e i silenzi.
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