Polanski parla dell’oggi
Se chiedessimo a uno studente delle scuole superiori che cosa sia l’“Affare Dreyfus”, forse direbbe che si tratta di un trafiletto sul manuale di studi.
In realtà è stato uno dei più clamorosi errori giudiziari della Storia, perpetrato ai danni di Alfred Dreyfus, militare di origine ebraica, accusato ingiustamente di alto tradimento come spia dei tedeschi, nella Francia della “belle époque”, gravida di un antisemitismo imperversante.
Chi volesse informarsi può godersi “L’Ufficiale e la Spia” di Roman Polanski, non a caso gran premio della giuria alla 76^ Mostra del Cinema di Venezia.
Conoscere questo fatto significa confrontarsi con la forza distruttrice delle “fake news”, delle notizie false, studiate a tavolino per annientare chi è ritenuto scomodo.
La pellicola mostra come nella culla della civiltà europea sia sempre esistito un sentimento di odio. Per ebrei, musulmani, immigrati.
Per l’avversario politico trasformato in nemico da eliminare.
Non siamo davanti a una pellicola “hollywoodiana” dalle ricostruzioni eclatanti, la sceneggiatura è scritta quasi come un documentario in cui i fatti scorrono in modo puntuale e fedele.
Scenografie e costumi aiutano molto in questo senso.
Bella la scena d’apertura in un mattino tetro e uggioso, in puro stile polanskiano.
Quello che accadde ieri sta avvenendo forse ancora oggi: questo è il nodo centrale. E Dreyfus era un’innocente vittima di una coincidenza di fattori che spaziavano dall’odio verso gli ebrei alla tensione politica all’indomani della guerra franco-prussiana.
Polanski ci dice che, in questi casi, si creano i soliti due schieramenti: colpevolisti e innocentisti.
Ma per provare l’innocenza di Dreyfus ci sono voluti anni.
Matteo Coggiola