Presi nei “Lacci” della vita
Il titolo dell’ultimo film di Daniele Luchetti richiama l’allacciarsi le scarpe, un gesto quotidiano che si compie quasi inconsapevolmente, sempre uguale nel tempo. Eppure, in tutta questa normalità, c’è chi lo fa in modo particolare, quasi unico. I “lacci” qui anelano a riallacciare i rapporti e a sancire un’unione. I lacci rappresentano anche legami indissolubili che spesso fanno anche soffrire, così ben attorcigliati e stretti da non poterne sciogliere il nodo; sono stringhe di scarpe che fanno male e che non si vede l’ora di togliere per respirare e stare meglio.
È la Napoli degli anni ’80, Aldo e Vanda so-no sposati e hanno due figli, Anna e Sandro.
A un certo punto il rapporto matrimoniale entra in profonda crisi. È questa la trama del film che è stato scelto come pellicola di apertura fuori concorso della 77^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia, titolo italiano che ha inaugurato il festival undici anni dopo il “Baaria” di Giuseppe Tornatore.
Una storia in grado di scavalcare il consueto recinto della commedia a favore di un più ampio orizzonte narrativo, opera che prende le mosse dal romanzo di Domenico Starnone, sceneggiata per il grande schermo da Francesco Piccolo. Così “Lacci” si propone come la cronaca ruvida, riarsa, quasi rassegnata del disamore nostro contemporaneo.
Taluni vistosi difetti di scrittura rendono molti dei dialoghi particolarmente artificiosi e innaturali anche se nel complesso il film convince grazie a un ritmo costante e alla sapiente regia di Luchetti, gestita con lucida padronanza e giusta freddezza. Gli attori so-no penalizzati dai dialoghi ma nello stesso tempo capaci, attraverso gli sguardi e il linguaggio del corpo, di dare vita ai momenti migliori del film. Vero punto di forza sono le tematiche affrontate, poiché vicine al pubblico. “Lacci” parla a tutti noi: delle nostre relazioni, dei nostri desideri sopiti, della nostra inadeguatezza. Alla fine non è un caso che sia un gesto comune come allacciarsi le scarpe il fulcro della pellicola.