Preti di casa nostra. Gli anniversari
Mentre è da poco iniziato il nuovo Anno Pastorale, come da tradizione, ripercorriamo gli anniversari sacerdotali che sono stati festeggiati nel 2022. Si tratta di 2 sacerdoti che hanno celebrato il 60° di ordinazione e di 6 sacerdoti che hanno celebrato il 50°.
In questo numero parliamo di don Giuseppe Massone e di mons. Pier Giorgio Pruzzi per i 60 anni e di don Roberto Lovazzano e don Cesare De Paoli per i 50.
Conosciamo insieme la storia della loro vocazione e le tappe del loro apostolato per riflettere su quella chiamata che continua a dare un senso alla loro vita. Sul prossimo numero gli altri profili.
Don Giuseppe Massone. L’impegno e l’ascolto rivolto ai giovani e alle coppie
«Respiro ancora il vento del Concilio»
Don Giuseppe Massone entra in Seminario a Stazzano il 6 ottobre 1950. A 11 anni lascia papà Luigi e mamma Adele e la sua casa a Castelletto d’Orba ed inizia il cammino che lo porterà a ricevere l’ordinazione presbiterale il 29 giugno 1962, nella cappella dell’episcopio, dal vescovo ausiliare Mons. Carlo Angeleri. Appena prete, scende a Roma a studiare all’Università Gregoriana dove consegue la Licenza in Teologia dogmatica.
Sono gli anni del Concilio Vaticano II, «anni bellissimi – ricorda don Massone – i più belli ed entusiasmanti della mia vita. Mesi in cui abbiamo respirato il vento nuovo del Concilio; quasi tutte le sere con i compagni di studio partecipavamo agli incontri tenuti dai Padri conciliari, potendo così approfondire le tematiche della grande assise di uomini di Chiesa provenienti da tutta la Terra».
«Addirittura in quel periodo – continua il sacerdote – avevo preso l’impegno di andare in Brasile. Me lo aveva proposto il segretario del grande vescovo Helder Camara. Lo trovai in San Pietro e mi invitò ad andare a trovarlo chiedendomi se avessi mai preso in considerazione la possibilità di un’esperienza pastorale in America Latina. Purtroppo l’allora vescovo di Tortona Mons. Francesco Rossi non la prese bene e non mi concesse il permesso e nel 1966 mi richiamò a Voghera affidandomi la responsabilità dei giovani». Don Massone inizia ad insegnare Religione nella Ragioneria e ha la possibilità di incontrare parecchi ragazzi, con i quali dà forma alla Comunità del Carmine. «Anche questi – racconta – sono stati anni molto edificanti. Ho sempre prediletto il lavoro con le nuove generazioni e negli anni del Carmine ho organizzato campeggi, incontri biblici, conferenze con illustri personaggi, senza mai dimenticare l’impegno culturale. In questo periodo si inseriscono gli anni ’69 e ’70, quelli della contestazione. Io c’ero dentro, avendo un centinaio di giovani. In quel contesto difficile, ho sempre cercato di pormi in ascolto delle loro richieste e per questo spesso mi hanno visto come un “prete comunista”. Ma non era così; ho sempre pensato che fosse mio dovere prima ascoltarli, lasciare esercitare loro la libertà di pensiero e poi dire eventualmente: io non sono d’accordo».
Dal 1991 don Giuseppe è a Milano, nella Parrocchia dei quattro evangelisti. «Pure qui – spiega – mi sono preso l’impegno di creare una comunità e di seguire i giovani attraverso incontri, corsi biblici e sempre con uno sguardo aperto all’aspetto culturale. Anni di grande fatica ed entusiasmo».
Parallelamente al ministero sacerdotale, don Massone coltiva l’altra sua grande passione: la Psicologia. Una passione nata negli anni ’70 nella sacrestia di una chiesa di Roma. Segue il cammino di studio della materia a Milano, insieme ad altri otto compagni, «quasi tutti atei, ma che poi mi hanno chiesto il Battesimo per i loro figli». Tanto lavoro “sul campo” a curare e guarire molte persone – oltre 2.200 – con un’attenzione speciale per le coppie per le quali don Giuseppe diventerà un punto di riferimento, che lo porterà a tenere in Diocesi e oltre i confini centinaia di corsi di preparazione al Matrimonio. «L’ultimo anno in cui li ho tenuti – afferma – sono stati 23».
Ed ora continua il suo ministero a Rivalta Scrivia, nell’abbazia che ha sempre desiderato ed amato fin da giovane. Ne è il parroco dal 2014 e ha anche la cura della parrocchia di Bettole. «Mi ha sempre colpito – confessa don Massone – la bellezza dell’abbazia e qui ho trovato un gruppo di persone innamorate della chiesa che mi aiutano tanto».
Infine un pensiero alla Chiesa di oggi. «Il sogno del Concilio non è svanito. – conclude – Vorrei che la Chiesa ascoltasse sempre di più i bisogni della gente. Il Sinodo deve aiutarci in questo, a recuperare la capacità di ascolto, suscitando così un nuovo entusiasmo e una nuova voglia di fare».
Mons. Pier Giorgio Pruzzi. Da Mondondone a importanti e numerosi incarichi in Diocesi
Un prete in mezzo alla sua gente
Sabato 8 ottobre, nella chiesa parrocchiale di Codevilla, suo paese natale, mons. Pier Giorgio Pruzzi ha festeggiato il 60° anniversario di ordinazione sacerdotale ricevuta dal vescovo ausiliare Mons. Carlo Angeleri il 7 ottobre del 1962. Alla Messa era presente il vescovo Mons. Guido Marini. Con lui il parroco don Michele Chiapuzzi, i sacerdoti della comunità pastorale di Voghera, altri confratelli amici e tanti fedeli e conoscenti. Rappresentava la cittadinanza il sindaco Marco Dapiaggi.
La celebrazione eucaristica è stata presieduta dal festeggiato. Il pastore diocesano nell’omelia ha pronunciato due “grazie”. Il primo al Signore, per il dono del sacerdozio di don Pier Giorgio, e il secondo a lui, per aver servito la Chiesa di Tortona in tanti ruoli diversi ma sempre con carità e con zelo. Ha poi richiamato il fatto che la celebrazione che si stava vivendo non fosse un punto di arrivo nel ministero di Pruzzi ma un’occasione per guardare al futuro con rinnovata speranza.
Al termine della Messa il sindaco ha rivolto parole di gratitudine al concittadino e gli ha fatto dono di un’edizione rara, ottocentesca, dell’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis e una giovane parrocchiana, a nome delle donne codevillesi, gli ha porto un fiore. Mons. Marco Daniele, vicario foraneo per la zona di Voghera, ha ripercorso con simpatia le tappe del suo rapporto con don Giorgio fino ai giorni presenti in cui lo ha ritrovato come aiuto pastorale proprio a Voghera. Per l’occasione gli ha regalato un’icona mariana su vetro. Infine, mons. Pruzzi ha ringraziato tutti i presenti, ad iniziare dal vescovo, per il quale ha invitato la Diocesi a una particolare preghiera al Signore e alla Madonna venerata in alcuni luoghi cari del suo paese come Pontasso e Montù.
Don Giorgio, classe 1940, è entrato in Seminario a Stazzano il 5 ottobre 1950, ad appena 10 anni. Nella sua vita ha parlato spesso di quel periodo: tempi di sacrifici, di lontananza dalla mamma Luigia e dal papà Emilio, di studio, ma anche forieri di numerosi incontri e significative amicizie.
Dopo l’ordinazione, il primo incarico nel 1962 a Lungavilla, in qualità di “curato”, Parrocchia che avrebbe portato sempre nel cuore, nella quale si è dedicato ai giovani e all’oratorio. Dal 1967 al 1975 fu parroco a Colleri, in Valle Staffora, passando dalla pianura alla montagna. Anche qui tante iniziative: su tutte la costruzione del nuovo campanile della chiesa. Allora fu vicario zonale per la zona di Varzi: il primo vicario foraneo ad essere eletto, come stabilito dal vescovo Canestri. Poi, dal 1975 al 2002 a Barbianello, luogo al quale legò la sua vita di uomo e di prete. In quel periodo affiancò al ministero l’insegnamento della Religione alla scuola media di Broni. Nel maggio del 2002 il vescovo Mons. Martino Canessa lo chiamò a Tortona nominandolo vicario generale della Diocesi, incarico che ha ricoperto fino al 2015.
Don Giorgio ha conseguito la Licenza in Teologia dogmatica con specializzazione in pastorale e la Laurea in Lettere Moderne all’Università di Pavia. Fu professore in Seminario, presidente dell’Odpf, presidente del Capitolo della Cattedrale, assistente degli adulti di Azione Cattolica, responsabile del Diaconato permanente, direttore della Casa del Clero “Sacro Cuore”, delegato vescovile del “Santachiara”. È stato membro dei consigli di numerose istituzioni diocesane ed enti: consiglio episcopale, collegio dei consultori, consiglio presbiterale, consiglio pastorale, consiglio degli affari economici, consiglio dell’Istituto Sostentamento Clero, Commissione diocesana di Arte Sacra, Comitato dei garanti del Centro “Paolo VI”, consiglio di Radio PNR, consiglio del Seminario, membro della Fondazione Sampietro.
Infine, Mons. Pier Giorgio Pruzzi è stato colui che in epoca recente ha rilanciato Il Popolo, traghettando il settimanale nel terzo millennio e facendo accrescere la sua autorevolezza nel panorama dei media locali. Direttore responsabile dal 1998 al 2019, ha di fatto scritto gli ultimi, importanti capitoli di una storia più che centenaria. Al momento della sua nomina a direttore del settimanale ha trovato Il Popolo che veniva pubblicato in tre edizioni differenti: Il Popolo Dertonino, Il Popolo di Novi e Il Popolo dell’Oltrepò. Il suo primo obiettivo è stato quello di far tornare il settimanale ad essere il giornale della Diocesi, unificando le tre testate in una sola.
Don Cesare De Paoli. Da Mezzana Rabattone al Centro “Paolo VI”
«Don Remotti mi ha cambiato la vita»
Sono passati 50 anni dal 27 agosto 1972, ultima domenica del mese di un’estate che si avviava a finire, quando nella chiesa gremita di Mezzana Rabattone, l’allora vescovo Mons. Giovanni Canestri ordinava sacerdote il giovane Cesare De Paoli, 24 anni, nato in quel piccolo paese lomellino, sulle rive del “Grande Fiume” tanto caro a Gianni Brera e a Giovannino Guareschi. Nel silenzio dei campi, dove il tempo scorreva seguendo i ritmi lenti e precisi della natura, qualche anno prima era scaturita la sua vocazione, semplice e schietta. All’ombra del campanile, durante la Messa domenicale, alla quale non mancava mai di partecipare insieme ai genitori e all’amata sorella, il piccolo Cesare, che svolgeva con solerzia il ruolo di chierichetto, aveva sentito nascere nel cuore la chiamata del Signore.
A raccontarlo è proprio lui, che vincendo la sua innata riservatezza, in mezzo ai libri del suo studio nella canonica di Lungavilla, torna a quel lontano giorno, rimasto indelebile nella memoria.
«La mia vocazione è nata in famiglia, in un ambiente contadino caratterizzato da una fede semplice ma concreta, – spiega il sacerdote – senza tanti fronzoli e senza tanti discorsi teologici. Finite le Scuole Elementari sono partito per Stazzano e sono entrato in Seminario». Di quegli anni conserva ancora ricordi bellissimi della vita comunitaria quotidiana. Finite le Medie a Stazzano, frequenta il Liceo a Tortona con i suoi compagni di studio (la sua era una delle classi più numerose), e poi torna a Stazzano come prefetto. Dopo gli anni della formazione, che comprendono anche un anno di studi a Pavia, arriva il momento dell’ordinazione sacerdotale e don Cesare diventa “sacerdote per sempre” nella sua Mezzana Rabattone che l’ha visto nascere. Rievocando quel giorno si commuove e torna per un attimo davanti a quell’altare, dove vicino a lui c’erano i suoi genitori, la famiglia, lo zio prete don Luigi e i superiori del Seminario. Grandi erano state l’emozione e la gioia, rivissute anche nella sua seconda Messa, celebrata nella parrocchia di Mornico Losana retta dallo zio. A lui, uomo dal carattere tenace e deciso e al nipote della madre, don Renzo Bernini, per anni parroco di Silvano Pietra, don Cesare è ancora molto legato e grato per l’esempio e la vicinanza. In particolare un caro ricordo va a don Luigi che lo aveva seguito durante i suoi studi e lo aveva ospitato sulle colline oltrepadane durante le estati da seminarista. Dopo l’ordinazione, il primo incarico è quello di viceparroco a Viguzzolo per tre anni, importante esperienza a contatto con i giovani dell’Oratorio. Poi la sua prima parrocchia, quella di Argine, frazione di Bressana Bottarone dove avviene l’incontro che gli cambia l’esistenza.
«L’orientamento della mia vita come prete – racconta don Cesare – per me è arrivato dopo il terremoto del 1980 in Irpinia. Don Francesco Remotti in quell’occasione mandò una lettera a tutti i parroci per chiedere di trovare dei volontari pronti a partire in aiuto degli abitanti di Valva, Comune gemellato con Tortona. Io, insieme a due giovani del paese, decisi di partire e quell’esperienza ha segnato il mio cammino». Da quel momento la collaborazione con il sacerdote non è mai più venuta meno e proprio lui oggi è il suo erede nel ruolo di direttore del Centro “Paolo VI”, “creatura” di cui ha visto muovere i primi passi. Dopo Argine diventa parroco di Casalnoceto, paese dove ha sede la struttura e lavora accanto al sacerdote tortonese che si è consumato a servizio della carità e dei giovani meno fortunati. Dieci anni più tardi, l’arrivo a Lungavilla per essere vicino alla mamma anziana negli ultimi tempi della sua vita. In più di 20 anni don Cesare ha visto il paese cambiare. Tante le persone che non ci sono più e tante quelle giunte da fuori che hanno scelto di vivere in questo luogo per ragioni lavorative, essendo molto vicino a Pavia e a Milano. Evidente è anche la trasformazione della realtà ecclesiale che si trova a guidare. Attualmente il sacerdote amministra altre 5 parrocchie oltre a quella lungavillese. L’unità pastorale comprende, infatti, Porana, Pancarana, Cervesina, Verretto e Pizzale.
«Il segreto per gestire tutto – spiega don Cesare – risiede nel saper incastrare orari e tempi, ma soprattutto nel saper creare un laicato responsabile, capace di aiutare il parroco e rendere meno difficile la sua attività pastorale. A tutte le mie comunità garantisco la Messa festiva e cerco di essere presente in mezzo a loro nei momenti importanti della vita cristiana».
Non si risparmia mai: sorridente, pronto alla battuta, affabile e buono, mentre fuma la sua sigaretta, è disponibile all’ascolto e al dialogo e apre le porte della sua casa a chi è in difficoltà e a chi cerca conforto e sostegno. «Nel dialogo – afferma – è possibile costruire davvero la Chiesa e camminare insieme nella pienezza della gioia cristiana».
Le sue comunità parrocchiali hanno festeggiato, insieme a lui, il giorno della sua ordinazione con la S. Messa celebrata nel pomeriggio di domenica 28 agosto nella chiesa di Lungavilla. Insieme alla prima cittadina lungavillese, erano presenti anche i sindaci di Cervesina, Verretto, Pancarana e Pizzale e numerosi fedeli. Al termine della celebrazione, animata dai canti della corale formata da coristi delle tre comunità, nel cortile dell’oratorio si è svolto il rinfresco. E tutti hanno brindato ai 50 anni di sacerdozio di don Cesare che visibilmente emozionato ha salutato e ringraziato “la sua famiglia”.
Don Roberto Lovazzano. La sua storia legata al “Sacro Cuore” di Tortona
«La fede fondata sull’ecumenismo»
Domenica 14 agosto nella chiesa del Sacro Cuore a Tortona è stata celebrata la Messa Vespertina in onore della Beata Vergine Maria Assunta durante la quale don Roberto Lovazzano ha ricordato il suo 50° di ordinazione sacerdotale. Hanno concelebrato i confratelli don Carlo Curone, don Claudio Baldi parroco del Duomo, don Renzo Vanoi parroco e rettore del Santuario della Madonna della Guardia, don Jomy parroco di Villaromagnano, don Gino Bava parroco di Viguzzolo, don Mino Lanfranchi, padre Lorenzo Bergantin parroco di Villalvernia e padre Aftodor Catalin parroco della Chiesa Ortodossa San Teodoro Studita di Tortona. Dopo il canto iniziale, eseguito dalla corale del Sacro Cuore, diretta dal maestro Nicolò Gadaleta, don Bava ha letto il messaggio di auguri che il vescovo Mons. Guido Marini ha indirizzato al festeggiato.
Tornando con la memoria a quel lontano 1972, don Roberto ricorda che fin da bambino giocava a “dire Messa” con una coperta sulle spalle e la sveglia come campanello… Poi, crescendo, ha fatto il chierichetto e ha frequentato l’Oratorio della parrocchia di Garbagna, dove è nato nel 1948. Negli anni ’60 si è trasferito a Tortona con i genitori, in casa dello zio, il canonico mons. Ruggero Lovazzano, per il proseguimento degli studi al ginnasio e al liceo. La frequentazione quotidiana con l’anziano zio sacerdote, che vedeva immerso nella preghiera e nella meditazione, è stata proprio la molla che ha fatto scattare in lui il desiderio di intraprendere la sua stessa via. A 17 anni entra nel Seminario di Tortona tra la sorpresa degli amici e delle amiche e dei compagni di classe.
«Negli anni da seminarista – spiega – ho avuto modo di tessere legami con persone che sono diventate come veri fratelli inseparabili e indimenticabili».
Il giorno della sua ordinazione, avvenuta alla vigilia dell’Assunzione, i genitori emozionati e orgogliosi, insieme ai famigliari, agli amici, ai personaggi del paese, ai compagni seminaristi e al parroco, erano tutti riuniti intorno al vescovo Mons. Giovanni Canestri.
È stato per tre anni viceparroco in Duomo a Tortona e poi per otto anni a San Matteo. Da 39 anni è parroco nella parrocchia del Sacro Cuore, nella periferia della città, che al suo arrivo era ancora tutta da costruire. «Per i primi 5 anni – sottolinea – sono stato ospite presso le suore Sacramentine che mettevano a disposizione un salone e un prato. Utilizzavamo inoltre la chiesetta campestre del rione Paghisano. Nel 1989 la costruzione della nuova chiesa è stata terminata. In questi 50 anni ho accumulato un discreto bagaglio di esperienze utile a evitare alcuni errori ma non tutti purtroppo. In me è rimasto immutato l’intento di non predicare me stesso ma la dottrina della Chiesa e l’impegno di proporre l’esperienza della vita comunitaria vivificata dalla presenza di Gesù nella parola, nei sacramenti e nelle opere di carità».
Ripercorrendo le tappe del suo sacerdozio, don Roberto è consapevole che il mondo è molto cambiato e che i pontefici che si sono succeduti – san Paolo VI, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – hanno sempre richiamato la Chiesa a mobilitarsi in difesa della concezione cattolica dell’uomo, della società, della famiglia e della vita. «Anche se gli esiti di questa battaglia culturale non sono felici – afferma il sacerdote – è sbagliato fermarsi nella lamentazione e nel rimpianto del passato come migliore. Bisogna confrontarsi con il presente e, come dice giustamente Papa Francesco, l’indietrismo non è la scelta giusta. Fedeli, sacerdoti, vescovi e papa devono farsi testimoni sempre più trasparenti del vangelo, che è amore dell’uomo, soprattutto del povero, fratellanza universale, difesa del creato, impegno per la pace, ripudio della guerra e ricerca dell’unità nel rispetto della diversità». L’insegnamento di Religione nelle scuole medie, primarie e secondarie, ha permesso al sacerdote di conoscere migliaia di giovani studenti, che ancora lo ricordano con simpatia. Tra le esperienze più belle a livello personale, ricorda gli anni trascorsi a Roma, per il perfezionamento degli studi teologici presso le Università pontificie del Laterano e l’Urbaniana, la partecipazione ai convegni nazionali dei delegati ecumenici diocesani e gli anni come delegato della scuola diocesana “Santachiara”. Di don Roberto è noto l’interesse per la versione orientale del cristianesimo, che risale a prima dell’ingresso in Seminario.
«Il mio amore è nato molto tempo fa, quando il mio compagno di scuola – conclude – mi portava da leggere la bella rivista “Oriente cristiano” pubblicata dalla Chiesa greco-cattolica di Piana degli Albanesi (in Sicilia), che arrivava al convitto ecclesiastico dove lui era pensionante. Entrato in Seminario, poi, fui incaricato come delegato per le Chiese orientali tra i compagni seminaristi. Ogni volta che andavo a Roma partecipavo alla splendida liturgia celebrata al “Russicum”. Ho visitato ogni anno, per più di trent’anni, la Turchia, la terra degli apostoli, dei padri e dei concili ecumenici. Meta principale, ogni volta, era la sede del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, oggi Istanbul, la grande Chiesa madre delle Chiese ortodosse greche e slave di tradizione bizantina e poi la Grecia, la Macedonia e la Russia».
Per dieci anni ha ospitato al Sacro Cuore la comunità ortodossa romena guidata da padre Sorin di Genova. Il successore, padre Catalin, oggi raduna i fedeli ortodossi di Tortona nella chiesa del Loreto, ottenuta in comodato dal Comune, non senza il suo interessamento. Con padre Sorin e padre Catalin ha realizzato interessanti pellegrinaggi in Romania, insieme a don Carlo Curone, alla scoperta di magnifici monasteri immersi nel verde di foreste incontaminate.