Qualcosa sul Vietnam e Chiara
L’Abbadessa del monastero romano delle Clarisse, originaria di Tortona, ci racconta la sua recente visita in due monasteri alle consorelle vietnamite… prima di fare ritorno verso la nostra Europa “con la sua fede stanca, la sua speranza pallida”
Vietnam: per me qualcosa di assolutamente lontano, estraneo e misterioso…
In una breve visita al monastero di Roma per prendere accordi rispetto al mio trasferimento, ci siamo conosciute. Un sorriso, uno sguardo reciproco affettuoso e accogliente: nulla di più, perché era impossibile qualsiasi altro scambio… non conoscevano altra lingua che il vietnamita! Il mistero non faceva che infittirsi: come ci parleremo, come ci capiremo, come potremo collaborare…?
Ho chiesto l’aiuto di una suora vietnamita che conosceva l’italiano, almeno per presentarmi e cercare di capire a mia volta qualcosa della loro storia, ma ho capito dalle loro reazioni che preferivano attendere di potermi parlare personalmente, che anzi, ci tenevano molto. Così sono iniziati i nostri incontri, con dizionario alla mano, buona volontà, pazienza… e un briciolo di senso dell’umorismo, che ai vietnamiti non manca.
È iniziata anche la collaborazione nella vita pratica: quale stupore nel verificare che facevano le cose come io aspettavo che le facessero, sebbene non sapessi come spiegarlo loro! Ho concluso che la forma di vita di Chiara d’Assisi aveva attraversato senza problemi i continenti ed era arrivata in Vietnam così come la vivevamo in Europa. Se differenza c’era, era nella freschezza, nella generosità e nell’entusiasmo con cui la vivevano le mie due giovani sorelle.
E nello spirito di sacrificio: sfidate da una lingua che non comprendevano, da un clima a cui il fisico doveva adattarsi, da cibi che provocavano spesso reazioni avverse… eppure sempre sorridenti e disponibili.
Un frate vietnamita una volta mi ha messo in guardia: «Verifica bene, perché sorridono, ma c’è il rischio che sia solo una facciata». Falso! E l’ho capito quando una di loro mi ha chiesto di incontrarmi, per spiegarmi – sempre dizionario alla mano – che i primi giorni aveva avuto un’idea di me negativa, mi aveva giudicata male, per poi scoprire con gioia che si era sbagliata: chiedeva allora perdono per quel giudizio, che sebbene rimasto nel segreto del cuore, le pesava sulla coscienza. Mi sono resa conto che erano proprio abituate a vivere nella trasparenza, loro stesse mi dicevano che in Vietnam le revisioni di vita mensili sono improntate a grande schiettezza e sincerità: lì la comunità si verifica senza risparmio di colpi… e poi la vita riprende serena.
Sono passati quasi 10 anni.
Una di loro, la più giovane, ci ha lasciate qualche anno fa per aderire a un progetto di aiuto al monastero di Casablanca, in Marocco: missionaria nell’animo, ha ritenuto conclusa la sua missione romana quando ha visto il coro popolato da giovani vocazioni e un futuro possibile per la comunità, e ha scelto di rimettersi in gioco, unica vietnamita, per tenere viva la luce di Chiara d’Assisi anche in quel contesto, caro alla tradizione dell’Ordine, perché luogo dove hanno versato il loro sangue i primi frati martiri, nel 1220. Ha singhiozzato dalla porta di clausura fino al check-in in aeroporto dal dispiacere di lasciarci: poi si è affidata al Signore ed è partita verso il gate senza voltarsi indietro.
L’altra ha scelto di restare a Roma, regalandoci il suo sguardo semplice e sereno sulle situazioni di vita che la comunità si trova ad affrontare. Con lei ho da poco visitato i monasteri del Vietnam, su invito del Ministro provinciale dei Frati Minori e come esigenza di restituzione di quanto ho ricevuto da quel popolo: e lì, tra quelle sorelle, ho respirato un’autenticità di carisma vissuto che mi ha davvero edificato e interrogato.
I monasteri sono due, di 40 sorelle ciascuno, e stanno preparando 3 fondazioni: mentre noi ci confrontiamo con il problema delle chiusure, loro sono gravide di vita che nasce!
Dovevo parlare loro di Chiara: così ho fatto, rendendomi conto che in realtà erano segnate da una povertà di conoscenza e di nozioni e che forse qualcosa potevo donare loro… ma consapevole che stavo a mia volta ricevendo molto nel vederle muoversi, ordinate e gioiose, dentro le loro giornate di preghiera, lavoro e fraternità.
E nella preghiera mi sono chiesta come tenere vivo uno scambio, interrogativo, che a mio avviso travalica il discorso del solo nostro carisma clariano: come mettere in un dialogo fecondo la nostra ricchezza di pensiero occidentale, di studi e approfondimenti, di ricerche e sintesi, con la vivacità, la freschezza e insieme l’austerità di queste giovani Chiese?
Il giorno in cui sono partita ho partecipato a una Messa parrocchiale. Era giorno feriale, di lunedì: alle 4.30 la chiesa gremita, un coro di giovani ragazze, i chierichetti intorno al parroco, dopo la Messa ognuno ha sfoderato il proprio breviario e il parroco ha guidato la celebrazione delle Lodi, quindi ciascuno ha iniziato la giornata, chi al lavoro, chi a scuola, non senza essersi prima salutati affettuosamente fuori dalla chiesa. Questo, mi dicevano, avviene ogni mattina: la giornata inizia lì, per grandi e piccoli, con Lui!
Ho ripreso l’aereo verso la mia Europa, con la sua fede stanca, la sua speranza pallida, la sua carità stiracchiata: in cuore il desiderio vivo di tornare, perché è la mia casa, la mia terra; ma insieme con l’urgenza di annunciare in qualche modo ciò che ho visto e udito… inizio a farlo da qui, con voi, e con le mie sorelle che amo in Lui, perché so animate dal mio stesso desiderio di “fare di Cristo il cuore del mondo”! La Chiesa è in un percorso sinodale: credo proprio che solo “insieme” arriveremo a Lui, con il coraggio di metterci in dialogo con un diverso che va ascoltato con curiosità e affetto per poterne cogliere la bellezza.
Sottolineo: affetto. Una mia sorella vietnamita uno dei primi giorni mi ha consegnato un biglietto con una frase con traduzione interlineare, che diceva: “Noi non ci possiamo parlare, ma da come mi guardi, capisco che mi vuoi bene”.
Forse gli ingredienti per un vero cammino sinodale sono più semplici e a portata di mano di quanto non pensiamo!
*Abbadessa del monastero di Santa Chiara in via Vitellia a Roma