Quale Natale vogliamo salvare?
In Lombardia 1 bambino su 6 non ha da mangiare, da vestire e non può stare al caldo. Proprio come quel bambino che è nato nella grotta di Betlemme. Ne parlo con voi perché vi sento vicini, amici
Ho cinque nipoti. «Auguri!» direte voi lettori chiedendovi come mai ve ne parli. Mi spiego subito, abbiate pazienza. È che il fatto (del tutto fortuito) di avere proprio questo numero di nipoti, mi suggerisce una riflessione: questa sì desidero condividerla. Sono cinque bambini fortunati (come tanti).
Hanno genitori che non solo garantiscono loro tutto il necessario, ma cercano di soddisfare anche i desideri più piccoli. Perfino superflui. Hanno anche un largo entourage di zii, cugini e nonni che si occupano di loro. Una famiglia come tante, appunto.
Che non fa notizia. La notizia invece c’è.
Arriva come un pugno nello stomaco. Così almeno è stato per me quando, l’altra sera, ho sentito al tg che, a fronte di cinque bambini che hanno tutto quel che serve e anche un po’ di più, nella ricca Lombardia ce n’è un sesto che vive in povertà. Ripeto e spiego: nella sola fortunata Lombardia un bambino su sei non riceve abbastanza per mangiare e vestire adeguatamente, per stare al calduccio in una casa in cui non manchi almeno l’indispensabile. Lo hanno detto all’ora di cena, insieme a molte altre informazioni ed è probabile che quella manciata di secondi dedicati all’ultima statistica, si possa essere anche persa nel chiacchiericcio che precede e accompagna l’atto di sedersi a tavola in famiglia. A me è capitato di afferrarla al volo. Appena prima, insieme ai dati di nuovo in crescita dei contagi da Covid, non mi era sfuggito l’ennesimo accorato appello che da più parti risuona da diverse settimane: “Salviamo il Natale”.
Quale Natale, mi è subito venuto da domandarmi? Il Natale di chi? Domanda pleonastica. È chiaro che la preoccupazione che stava dietro l’appello-diktat era chiaro: si tratta di salvaguardare il business che ruota, abbondante e vorticoso, intorno alle festività di dicembre. Sono anche posti di lavoro, intendiamoci. Sono stipendi che possono o no arrivare nelle famiglie. È importante. Eppure quel “Salviamo il Natale” mi è sembrato uno schiaffo in pieno viso a quel bambino su sei che non so se vedrà salvato il “suo” Natale.
In Italia sono un milione e mezzo i bambini poveri (200 mila in più rispetto a un anno fa). In Europa sono venti milioni. Le statistiche restano solo asettici numeri (ma che numeri!) se non ci si sforza a guardare oltre per vedere le persone di ogni età che stanno spesso troppo nelle retrovie delle cifre. Non si tratta solo di bambini migranti che muoiono nelle acque del Mediterraneo o nello stretto di Calais. Non si contano in quei numeri i piccoli e piccolissimi stroncati dal freddo e dagli stenti alle frontiere-trappole al centro del nostro Vecchio continente. Chi ha seguito i propri figli durante le settimane e i mesi di scuola a distanza ha visto ragazzini delle elementari e medie costretti a seguire le lezioni con un vecchio cellulare della mamma che spesso finiva la carica e li tagliava fuori. Sparivano le immagini, si zittivano le voci della maestra, dei compagni. E chissà quando i genitori avrebbero potuto comprare una ricarica adeguata.
Cosa c’era, cosa c’è oltre quel muro di silenzio che calava improvvisamente per trasformarsi in un filo spinato che per ore, o giorni, diventava invalicabile?
La domanda che rimbomba insistente nella mia testa è: quale Natale dobbiamo salvare? Meglio: quale Natale vogliamo salvare? Molti di voi, cari lettori, sono sensibili a questi enormi problemi umanitari. Tanti, per fortuna, aiutano, donano, provano a colmare le voragini di separazione. Ne parlo con voi perché vi sento vicini, amici. Torno ai miei cinque nipoti per condividere un’ultima riflessione. Ho cercato per i piccoli un libro che, con parole semplici, e belle illustrazioni (nella civiltà delle immagini sono importanti per far capire meglio) mi aiutasse a raccontare loro il primo, poverissimo Natale. Quello in cui è nato un Bambino che non aveva nulla se non la cosa più bella: l’amore di una mamma e di un papà, la vicinanza di poveri pastori pronti a condividere quel pochissimo che possedevano. E il sogno di una stella che avrebbe portato fin lì, nell’ultima stanzetta dimenticata dal mondo, dei re carichi di ricchi doni.
Ho fatto una gran fatica a trovare un testo che narrasse quella semplice storia tra centinaia di volumi che celebrano Babbo Natale, doni e luci a non finire. Quale Natale vogliamo salvare? Quante povere case di Betlemme ci sono anche vicino a noi? So che mi capirete se dico che dobbiamo tenere le orecchie tese ai richiami importanti e gli occhi bene aperti per seguire l’unica stella che conta, quella che sa tenere desta l’attenzione verso quel bambino su sei. Per aiutarci a trovarlo, a coccolarlo, a farlo crescere con la garanzia di tutto ciò che gli serve e gli servirà. Non solo a Natale.
Pierangela Fiorani