Quel rassicurante squarcio di luce

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25 anni fa, giovanissimo, moriva il bronese Massimo Ghio, una vita spesa per gli altri nel mondo del volontariato e della Croce Rossa, determinato, coraggioso, disponibile

È successo qualche settimana fa. Un telegiornale ha intervistato una giovane ragazza piemontese (guarda caso) che è stata scelta come alfiere della Repubblica dal presidente, Sergio Mattarella, per il contributo dato come volontaria del soccorso durante il periodo del Covid.

E le parole con cui questa ragazza ha spiegato il perché di questo impegno, l’attaccamento alla Croce Rossa, il servizio agli altri, hanno ravvivato il ricordo. Un ricordo che per chi, come me, fa parte della generazione nata in Oltrepò fra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, non si è mai perso, ma che ogni tanto riemerge con più forza e che merita di essere coltivato perché la memoria resti.

Già. Perché sono passati venticinque anni dal giorno in cui Massimo Ghio ci ha lasciati. Dopo una vita spesa al massimo (poteva essere altrimenti?) che lo aveva portato su tanti fronti di impegno per gli altri, dalla militanza nella Croce Rossa, fino a diventarne dirigente sul territorio e delegato internazionale, a studi universitari non facili, al lavoro al fianco della famiglia. Insomma, a scelte mai banali.

La sua vita ha avuto un percorso del tutto originale, segnato dalla capacità di uscire dal conformismo facile senza cadere, però, in un altrettanto facile anticonformismo. Una vita recisa, in un giorno d’agosto, da un male che non ha avuto pietà. Quando aveva poco meno di trentuno anni.

Venticinque anni dopo la memoria, per forza di cose, non è sempre condivisa. Per ragioni di età che rendono impossibile avere gli stessi ricordi. Perché gli incontri sono spesso casuali. Perché il trascorrere del tempo sa essere inesorabile o perché le voci e i volti tendono a perdere i contorni nella nebbia dei giorni.

Da qui la necessità di ricordare a tutti voi che leggete chi è stato Massimo Ghio. Al di là del ruolo sociale, di cui abbiamo dato qualche cenno prima, guardando al carattere e al modo di porsi davanti alla vita che molto ci possono insegnare per il nostro oggi e per il nostro domani.

Mi vengono in mente alcune parole che possono raccontarlo a chi non lo ha mai conosciuto. Determinato. Coraggioso. Disponibile con gli altri. Curioso. Divertente. Massimo mi sembra essere stato tutte queste cose insieme.

Determinato ad andare oltre ogni destino prefissato dalle circostanze e deciso a costruirsene uno fatto a misura della propria voglia di essere e delle proprie ambizioni. Sapendo per esperienza diretta che non sempre si nasce e si vive davanti agli stessi orizzonti. Che per andare oltre il proprio orizzonte bisogna essere decisi. Ma che la nostalgia sa essere, al tempo stesso, dolce e crudele.

Coraggioso nell’affrontare situazioni estreme che avrebbero spaventato chiunque, con la consapevolezza, e ce lo testimoniano le foto dell’Africa, che a chi sa essere generoso e coraggioso molto viene restituito.

Massimo era disponibile con gli altri come chi sa che questa è la via per scoprire la vera vita. E che chinarsi sull’uomo sofferente è la modalità per scoprire qualcosa di sé che non si sa di avere. Oltre che di valutare che il proprio tempo viene ben speso.

Curioso, poi, come ricorda bene chi ha avuto la fortuna di far parte di qualche sua spedizione oltre le colonne d’Ercole che, per la sua immaginazione, segnavano il confine della nostra città. E che occupavano la mente di noi giovani di quell’epoca non per chiudere un orizzonte, ma per darci il dovere/piacere di superarle.

Divertente, infine, per la capacità di prendere in giro e prendersi in giro, pur nella sofferenza dei piccoli ostacoli che talvolta la giovinezza sa offrire per far diventare giovani adulti.

Certo, una persona anche scomoda, potrebbe aggiungere qualcuno. Ma come sa essere scomodo chi ha tutte le caratteristiche che ho indicato prima e che vuole sfruttarle per obiettivi che per lui sono grandi e ambiziosi.

Da questo vocabolario minimo, non in grado naturalmente di raccontare tutta una persona, emerge la ragione che spinge a condividere la sua storia. Perché da queste caratteristiche si può imparare. Come fa, ancora oggi, chi l’ha conosciuto.

Quando le giornate rallentano capita di ricordare Massimo e di chiedersi: «Ma qui cosa avrebbe fatto? Che idea avrebbe tirato fuori?». Oppure fermarsi e dirsi: «Questo libro, questo film, questo artista, se non ci fosse stato lui, non lo avrei mai conosciuto». E, infine, e forse questa è la cosa più importante: «In questo mondo complicato, con la sua capacità di stare fuori dagli schemi, dove mi avrebbe detto di guardare per capire? Dove avrebbe visto i nuovi bisogni?».

Le capacità che ho descritto prima valgono per allora e per sempre. E si declinano nella capacità di cogliere i segni che il tempo ci dà la possibilità di vedere se impariamo a guardare. Ecco perché una vita come quella di Massimo può essere un punto di riferimento per tutti noi. Con una prima indicazione che, mi sento di dire, sicuramente anche lui avrebbe condiviso. Dovremmo diventare capaci di cogliere le ricchezze che Massimo aveva anche in coloro che ci circondano nella vita di tutti i giorni. I determinati e i coraggiosi che sanno vedere i nuovi bisogni sono tanti. Sono spesso silenziosi, ma ci sono. Sono più numerosi di quanto i pessimisti vogliono credere. E possono avere bisogno di aiuto.

Le persone sono un dono. Un talento. Come ci è stato detto, i talenti possono essere sepolti, anche per troppo dolore o per l’ansia di perderli. Oppure possono essere ricordati perché producano frutti, per sé e per gli altri, anche dopo molto tempo. Anche senza averli conosciuti direttamente.

Una vita con Massimo prima, e venticinque anni senza di lui. Sono stati, allo stesso tempo, anni lunghi e brevissimi. Ma hanno lasciato una traccia profonda. A questo punto del viaggio un rassicurante squarcio di luce.

Jean Marie Del Bo – Vice Direttore del Sole 24 Ore

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