Se il Giappone diventa provincia

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L’altra Olimpiade, quella dietro le quinte, tra divieti, sorrisi larghi, pranzi così così e un quarto d’ora d’aria al giorno fuori dall’hotel dei giornalisti

Riprendere un aereo dopo quasi due anni, per chi come me era abituato a viaggiare spesso, è stata quasi una liberazione. Una boccata d’ossigeno, a mascherina abbassata, dopo 17 mesi condizionati da chiusure e riaperture a singhiozzo. Per chi può per lungo tempo aver vissuto il massimo dell’evasione in una tranquilla serata novese, essere catapultati dall’altra parte del mondo in occasione delle Olimpiadi è stata una soddisfazione e allo stesso tempo una sfida. Dalla piazza di paese allo stadio olimpico di Tokyo, dunque. Un colosso da quasi 70.000 posti a sedere e tutti desolatamente vuoti nel corso della cerimonia inaugurale, se si escludono dalla conta atleti in sfilata, giornalisti e addetti ai lavori. In un Paese con una bassissima percentuale di vaccinati, il ritorno alla normalità sembra ancora lontano dal realizzarsi, per lo meno per chi come me arriva da molto lontano. Al di là degli eventi sportivi, ci è infatti concesso un quarto d’ora d’aria al giorno al di fuori dall’hotel mentre di giapponesi in giro e di locali aperti se ne vedono eccome. Luoghi per noi inaccessibili per i primi 14 giorni di permanenza. Regole stringenti che fanno assomigliare una delle più grandi metropoli del pianeta a una piccola cittadina di provincia di nuovo minacciata dal lockdown.

Altro aspetto che salta immediatamente agli occhi di noi stranieri è la grande gentilezza che contraddistingue i nipponici. Ogni volontario o addetto ai lavori presente a Tokyo ti accoglie con un sorriso smagliante, ben visibile al di là della mascherina. Tra di loro, ci sono pure i militari e i poliziotti impegnati nelle operazioni di controllo zaini e borse di noi giornalisti all’ingresso delle strutture olimpiche. Un approccio molto positivo che compensa, in parte, una scarsa dimestichezza con l’inglese e una conseguente poca reattività alle nostre tante richieste, soprattutto nel caso in cui queste si discostino anche solo marginalmente rispetto a ciò che lo staff ha imparato a memoria nella fase di addestramento pre Giochi.

L’impegno, insomma, non manca di certo.

Alla mia seconda Olimpiade, entrambe in terra asiatica, continuo ad apprezzare il fatto che chiunque partecipi da giornalista o addetto alla comunicazione sia davvero sulla stessa barca.

Le distanze tra il giovane e timido esordiente e la scafata firma di punta della grande testata ormai alla sua sesta o settima edizione si annullano. Si lavora tutti, instancabilmente, da mattino a notte. Si prendono insieme le stesse navette, che ci mettono una vita ad arrivare a destinazione.

Si mangia insieme, purtroppo non sempre benissimo, e ci si aiuta, anche nelle piccole cose. Non è infatti raro che i meno esperti diano una grossa mano ai veterani, soprattutto quando si parla di tecnologia e di trasporti.

Una dimensione molto umana calata in un contesto globale, che difficilmente ritroviamo nella nostra quotidianità in provincia.

Luca Lovelli

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