Segni di speranza dalla Turchia
di Maria Pia e Gianni Mussini
Anche quest’anno, superate le remore di Maria Pia (che, come forse qualche lettore ricorda, continua a essere refrattaria ai viaggi) e le procedure sanitarie imposte dalla pandemia, i coniugi sono partiti per le loro vacanze. Meta la Turchia, per una visita alla terzogenita là residente.
Solite contrattazioni prima della partenza: un giorno in più o un giorno in meno di permanenza, un’escursione in più o una in meno, un’avventura in più o una in meno… alla fine si è raggiunto l’accordo, anche se la bilancia pende sempre dalla parte di Gianni, che con pretesti vari riesce ogni volta a rosicchiare qualche cosa di inedito e di imprevisto.
Agli attesi incontri familiari, al programmato soggiorno al mare e al viaggio in Cappadocia si è così aggiunta la puntata ad Hattuşa, antica capitale degli Hittiti: fonte di emozioni speciali, e non soltanto perché è un ricordo scolastico lontano ma ancora vivido. I reperti grandiosi e incredibilmente vivi dopo più di tremila anni hanno persuaso anche Maria Pia che valeva la pena di acconsentire a questa variante del viaggio. (Ma era riuscita a rimanere con i piedi ben attaccati a terra quando Gianni avrebbe voluto trascinarla con sé a bordo della mongolfiera che sorvolava i leggendari Camini delle fate! E, nonostante le entusiastiche descrizioni del “reduce”, non se ne è pentita).
Terra ricca di storia e di gente ospitale, la Turchia. Commoventi i tanti, tantissimi minareti che emergono tra i palazzi delle città come nel modesto skyline di ogni villaggio (non diversamente dai campanili che svettano sui nostri paesi); e il richiamo alla preghiera che sale, a ore stabilite, dalle moschee. Senza contare la bella testimonianza di Cem, la guida che ha accompagnato Gianni e Maria Pia in Cappadocia, che di tanto in tanto chiedeva qualche minuto di “permesso” per ritirarsi in disparte a recitare la sua preghiera.
Ma, come si sa, sono rarissime le chiese cattoliche. A Istanbul è però attiva la chiesa di Sant’Antonio da Padova, sul cui sagrato campeggia la bella statua di San Giovanni XXIII, delegato apostolico in Turchia a partire dal 1934: l’allora Mons. Angelo Roncalli aveva saputo, anche in quel contesto difficile per i cristiani, esercitare la sua capacità di dialogo e di mediazione (salvò tra l’altro molti ebrei dallo sterminio, oltre ad instaurare rapporti collaborativi con il patriarcato ortodosso) facendosi amare da tutti.
Qui Gianni e Maria Pia sono riusciti ad ascoltare una Messa, celebrata in inglese per un gruppo nemmeno troppo esiguo di fedeli, per lo più lavoratori stranieri immigrati, ma anche qualche “indigeno”. Un coro di donne filippine accompagnava il rito con i canti.
Sono segni di speranza nel buon senso degli uomini e di fiducia nell’azione costante di Dio.
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