«Senza la Resurrezione di Cristo ogni uomo morirebbe per sempre»

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Quella che ci apprestiamo a vivere è la seconda Pasqua nel pieno della pandemia. In un anno che cosa è cambiato nelle nostre comunità? E in noi? Lo abbiamo chiesto a Marina Corradi, la giornalista di Avvenire che dall’inizio del Covid non ha mai smesso di raccontare storie personali cariche di dolore e di speranza

Stiamo per vivere un’altra Pasqua di pandemia. Anche quest’anno, pur potendo partecipare “in presenza” ai riti della Settimana Santa, le restrizioni sono ancora molte e le regioni sono “chiuse”. Abbiamo alle spalle dodici mesi segnati dal racconto di storie di uomini e di donne che Marina Corradi, editorialista di Avvenire, ci ha periodicamente proposto. Un osservatorio privilegiato il suo che le ha permesso di toccare con mano quanto sia cambiata la nostra società.

Marina Corradi

E allora Marina, che Pasqua sarà quella del 2021? «Forse potrebbe essere in Italia una Pasqua un po’ più serena, se esiste la fondata speranza che le vaccinazioni procedano e aumentino nel ritmo. Già l’intravedere la fine della crisi può essere ragione di speranza per quanti ne sono stati schiacciati o hanno paura di essere contagiati. Naturalmente questo non vale per chi, e sono tanti, ha subito un lutto o magari ha dovuto lasciare morire una persona cara in solitudine, in un ospedale chiuso ai visitatori. Questa deve essere stata la cosa peggiore: vederti portare via un padre, un marito, di colpo, e non rivederlo più. Provo molta pena per chi ha subito questa sorte. Per loro non ci sono parole, se non la memoria della morte e della Resurrezione di Cristo: senza la quale ogni uomo morirebbe per sempre. Per loro Pasqua, la Pasqua del Signore, è la sola solida speranza.»

“Andrà tutto bene”: che dici, ripensando a quei cartelli alle finestre? «Personalmente non condividevo quei cartelli multicolori esposti al balcone. Mi sembravano sì una manifestazione di vitale ottimismo, fondato però su che cosa? Non è affatto andato tutto bene, abbiamo avuto 100 mila morti. Che voleva dire quell’“andrà tutto bene”? Non sapevamo nulla del virus. Mi sembrava il cantare nel buio di bambini spaventati, per farsi coraggio, o quasi un mantra cui attaccarsi insieme. Ma con quale fondamento? Diversa è la speranza cristiana: che ogni male ci sia dato, per un bene più grande. Dubito però che questa memoria alimentasse molti di quei cartelli sui balconi, che ora vedo spariti…»

E le relazioni tra le persone come sono cambiate? “Ne usciremo migliori”, si diceva. È davvero accaduto così? «Le relazioni credo siano mutate. Alcune in peggio: è ancora più anonima e fredda, per strada, una grande città come Milano. Il distanziamento fisico si allarga in quello psicologico e perfino patologico: “State lontani da me, non infettatemi”. Tuttavia so di molte persone che invece hanno reagito alla pandemia allargando il loro cuore, facendo volontariato, assistendo i vicini o curando con la massima disponibilità e pazienza i malati negli ospedali. C’è chi in questi mesi ha dato l’anima, e altri che se la sono tenuta ben stretta nel petto, pensando solo ai rischi per la propria personale salute: in una nuova forma di avarizia.»

 La lentezza della campagna vaccinale sta mettendo in luce i limiti del nostro sistema. Manca una vera politica che metta al centro la persona. Che cosa ne pensi? «Penso a quanti medici ci mancavano in questi mesi, e penso a anni e anni di concorsi per l’ammissione alla facoltà di Medicina che hanno scartato migliaia di candidati, anche in base a test assolutamente discutibili, a bizzarre domande di cultura generale sul festival di Sanremo. Penso a quanti ragazzi avrebbero voluto fare i medici e si sono visti chiudere la porta in faccia, a quanto sarebbero preziosi oggi. Cos’è stato, mi chiedo, corporativismo della classe medica forse? In ogni caso oggi duramente pagato da tutti. Anche dagli anziani medici tornati coraggiosamente in corsia, e morti. Quanto alla politica, ha smesso in Italia di mettere al centro la persona da numerosi lustri…»

Siamo stati testimoni del sacrificio di molti sacerdoti. Alcuni hanno perso la vita, altri continuano il loro impegno in prima linea. Che volto ha espresso la Chiesa? «Trovo che la Chiesa abbia espresso un bel volto in quest’anno doloroso. Riassumibile per me nella straordinaria preghiera in piazza San Pietro deserta del Papa, a marzo, un fatto epocale. Ma, al di là di quel grido del Papa, quanti ignoti sono morti per avere portato una benedizione a un malato, e che morte è stata la loro: da cristiani. Il sacerdote che ha sposato mio figlio e sua moglie è morto. Aveva 59 anni, stava bene. Due mesi in terapia intensiva, due mesi di via crucis. Ci manca molto. È il volto di una Chiesa che ha voluto bene al prossimo fino ad ammalarsi e a dare la vita.»

Tra tutte le storie che hai raccontato nell’ultimo anno ce n’è una che ti ha colpito in particolare? Ce la vuoi riproporre? «Penso a un anziano vicino di casa, vedovo, con un cagnolino. Lo vedevo da tanti anni ogni giorno, prima con la moglie, poi solo. Un uomo gentile. A gennaio ho notato che il dottor B non si vedeva più. Chiedo a un vicino, mi risponde: “Ma, non lo sa? È morto”. “E quando?” replico io meravigliata. “Da una settimana. È già stato seppellito”. “Ma, e i funerali?” domando sbalordita. “Niente, sa, per il Covid, una benedizione alla bara e via”, spiega il vicino. Io insisto, incredula: “Ma non ho visto nemmeno un cartello sul portone…”. Non c’è stato infatti alcun cartello. Nemmeno quello. Il signor B, che abitava qui da una vita intera, se ne è andato senza che nessuno lo sapesse, quasi clandestinamente. (Pare che i cartelli di lutto deprezzino il valore degli immobili. Comunque, a Milano non se ne vede più in giro). Credo che gli unici a farsi delle domande siano stati i padroni dei cani che portano l’animale all’aiuola qui vicina. So che tra loro qualcuno si è chiesto: “Ma dov’è Lillo, dov’ è il suo padrone?”. Per fortuna ci sono i cani, a renderci ancora un po’ umani.»

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