Spesa sociale a rischio?
Di Cesare Raviolo
Non vorremmo guastare la pausa estiva, ma se, come abbiamo visto la settimana scorsa, i bonus non sono senza malus, per coerenza, una riflessione s’impone: fino a quando lo Stato sarà in grado di sostenere la spesa sociale (previdenza, sanità, assistenza, istruzione, ecc.) in costante crescita? Il venir meno di una parte di entrate fiscali dopo l’introduzione della flat tax e la scarsa attrattiva registrata dal concordato preventivo per redditi d’impresa e autonomi, fa temere che la copertura del progressivo aumento dei costi del welfare sarà a debito. A maggio, secondo Bankitalia, il debito pubblico ammontava a 2.918,9 miliardi di euro, generando una spesa per interessi di circa 90 mld l’anno, pari al 4,3% del Pil. E mentre Bruxelles chiede a Roma l’aggiustamento del bilancio a 12 mld di euro l’anno, le previsioni non sono così rosee da ritenere che la crescita del Pil possa dare un significativo contributo alla riduzione del deficit e del debito. Per Bankitalia, nel 2024, la nostra economia crescerà dello 0,6% e dello 0,9 nel 2025; l’Istat calcola + 0,9 già nell’anno in corso, il Fmi (Fondo Monetario Internazionale) attribuisce all’Italia un + 0,7% e un + 0,9. Posto che i diritti sociali, non meno di quelli politici, tutelano l’uguaglianza dei cittadini e i doveri di solidarietà sono “inderogabili” (art.2 Cost.), se siamo una Comunità, non solo co-abitanti di un territorio, che fare? Per quanto accidentata e dolorosa, una strada c’è e va in due direzioni, opposte e convergenti: ridurre l’evasione e contenere la spesa sociale. Per quest’ultima basterebbe – si fa per dire!– un puntuale monitoraggio, che tenga conto di quanto il cittadino riceve, sotto forma di sussidi o di servizi, sia dallo Stato sia da altre pubbliche amministrazioni, così da evitare onerose duplicazioni; il quadro giuridico e lo strumento operativo esistono: il Sistema Informativo Unitario dei Servizi Sociali (Siuss). Occorre utilizzarlo pienamente. Per quanto riguarda l’evasione, sarebbe sufficiente un fisco equo (art.53 Cost.), “certo e comodo”, come diceva già Smith nel 1776, con controlli efficaci. Così, senza dover scomodare la public choice di Buchanan per limitare l’intervento pubblico in economia, ma monitorando effetti della spesa sociale, occupazione, sostenibilità del debito, evasione fiscale, sarà possibile, forse, interrompere la spirale perversa che, a causa di troppi bonus, eccessivi crediti d’imposta, alta evasione, bassi livelli occupazionali e salariali, mette a rischio oggi il nostro welfare e la sua condivisione.
raviolocesare@gmail.com