Umanità oltre le sbarre
Di Ennio Chiodi
Non tutti se la cavano come don Raffae’, il boss mafioso detenuto a Poggio Reale, protagonista della canzone di Fabrizio De Andrè. Se la spassa, don Raffae’, anche in galera, grazie alla devozione del “brigadiero” Cafiero Pasquale e alla rete di corruzione che gli consente di dispensare, dentro e fuori le mura del carcere, favori e regalie in cambio di fedeltà. La realtà è ben diversa per la stragrande maggioranza dei detenuti nelle prigioni italiane, a parte qualche eccezione: degrado, sovraffollamento, abusi e violenza, dignità negata, assenza di stimoli sociali e cul- turali, isolamento, abbandono e mancanza di prospettive se non di futuro. Nel corso dei primi mesi del 2025 si sono tolti la vita già 22 detenuti; 80 nel 2024. Il tasso di suicidi è 17/18 volte superiore a quello che si registra nel mondo dei liberi. Nelle carceri italiane vivono circa 14.000 persone in più rispetto alla massima capienza ufficiale. Sono dati freddi e ufficiali che non tengono conto di un drammatico “indotto” nelle famiglie dei detenuti e tra le stesse guardie carcerarie, prigionieri tra i prigionieri, vittime a loro volta della propria e altrui fragilità, della propria e altrui “violenza”. Dimentichiamo troppo facilmente che le figure che intravediamo, confuse e sfuocate, dietro le sbarre sono persone, giustamente condannate alla privazione della libertà, ma non alla cancellazione della dignità e dei più elementari diritti. Qualcosa si muove tra le pieghe della burocrazia e dell’indifferenza: in 32 carceri italiane, per il momento, saranno consentiti incontri e relazioni “intime” tra chi è dentro e i loro partner riconosciuti. Ci saranno da superare mille difficoltà di tipo logistico, igienico e sanitario; si dovranno conciliare le esigenze della privacy con quelle della sicurezza, ma viene finalmente riconosciuto un diritto soggettivo fondamentale, non solo per chi è “dentro” ma anche per chi li attende fuori, per mesi o per anni. Le accuse, inevitabili, di questi tempi, di “buonismo” inopportuno e di lassismo verso chi delinque, sono smentite dai dati che registrano meno recidive nel compiere nuovi reati tra i detenuti che godono di permessi e di maggiori garanzie. «La giustizia riparativa vince sulla giustizia punitiva o edu- cativa» – ha ammesso recentemente l’ex magistrato Gherardo Colombo – figura di spicco del pool di “Mani pulite” che pure con le carcerazioni non ci andava leggero – presentando un testo di don Primo Mazzolari: “Se tu, nella tua fame e nella tua sete di giustizia, non ci metti qualcosa che la completa – scriveva il parroco “profeta” di Bozzolo in Oltre le sbarre, il Fratello” – se non ci metti anche un po’ di pietà, incomincio ad aver paura della tua giustizia”.
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