«Un carcere nel contesto della città»
In estate la situazione delle case circondariali rischia di divampare. A Voghera invece…
Torna regolarmente di attualità la situazione difficile delle carceri italiane che in molti casi sono sovraffollate: il problema, specie in estate, rischia di “divampare”. Qual è la situazione della casa circondariale che sorge a Voghera e che rappresenta anche l’unica realtà carceraria nel territorio diocesano?
«La casa circondariale deve essere una realtà inserita nel contesto cittadino e deve far conoscere il suo piano di azione nell’ambiente sociale nel quale si trova in modo da essere oggetto di interesse e non di timore per chi è all’esterno»: sono le parole, chiare e decise, di Stefania Mussio, che dal febbraio dello scorso anno è la direttrice della struttura vogherese, dove aveva già ricoperto incarichi dirigenziali dal 1996 al 2000 e dal 2005 al 2006.
L’istituto di pena è stato aperto nel 1982 come carcere per donne terroriste ed è diventato tristemente famoso nel 1986 per la tragica morte di Michele Sindona. Già alla fine degli anni ’80, pur mantenendo la connotazione di massima sicurezza, è diventato maschile ospitando detenuti a elevato indice di vigilanza come terroristi, brigatisti, associati alla mafia o autori di fatti violenti tra le mura carcerarie e dal 2005 anche collaboratori di giustizia. Oltre ai circuiti dell’alta sicurezza (quelli che escono dal circuito del 41 bis e i gregari), ha mantenuto anche una sezione di media sicurezza quale appoggio al tribunale, presente in città fino a pochi anni fa. Come ci spiega la direttrice, nel caso di Voghera non ci sono situazioni di sovraffollamento, anche se «l’istituto è un po’ datato e necessita di manutenzione». Nel 2013 è stato aperto un nuovo padiglione e oggi può arrivare a una capienza massima di 450 persone che non è, al momento, raggiunta. C’è, infine, un reparto di polizia penitenziaria maschile con la presenza di alcune poliziotte che lavorano negli uffici e nell’amministrazione.
Mussio in questo suo primo anno di lavoro ha notato un cambio di atteggiamento nella sensibilità del territorio. «Mi sembra – ha affermato – che il carcere oggi sia una realtà meno trascurata e che il tessuto esterno abbia consapevolezza della sua esistenza e se ne faccia carico non mostrando più una certa diffidenza come avveniva anni fa».
Anche lo spirito di collaborazione con i volontari e le associazioni che operano all’interno è aumentato. «È molto importante che l’istituto penitenziario sia un luogo adeguato e stimolante perché solo così si traduce in concreto il rispetto della dignità delle persone detenute» ha sottolineato la direttrice che, grazie alla sua esperienza maturata in altri istituti di pena, è convinta del ruolo fondamentale della società e dei volontari. Proprio queste figure sono per lei un elemento da valorizzare e sul quale investire attraverso la creazione di corsi di formazione che possono aiutare a capire bene come muoversi e come essere «equilibrati, responsabili, dialoganti e accoglienti, ricordando sempre che c’è un reo e una vittima e che c’è sempre qualcuno che ha pagato per le azioni commesse».
«Il carcere, in base a elementi soggettivi e oggettivi, arriva a ipotizzare che i detenuti abbiano intrapreso una nuova volontà di vita – ha aggiunto – e facendo un grande gesto di fiducia, cerca di aiutarli a impiegare meglio e in modo più costruttivo il loro tempo all’interno della struttura». Fortunata Di Tullio, coordinatrice e capoarea giuridico pedagogica, è intervenuta al riguardo per spiegare che sono presenti all’interno del carcere una falegnameria e una sartoria e recentemente un laboratorio dolciario. «Il programma di reinserimento – ha raccontato Di Tullio – segue il principio della gradualità e dovrebbe avere una naturale evoluzione in base alle risposte date dai detenuti ai programmi che vengono redatti». In poco più di un anno, nonostante la brusca pausa del Covid che ha toccato da vicino il carcere, l’educatrice ha spiegato che «sono stati raggiunti diversi obiettivi: rinnovamento della biblioteca e realizzazione di una nuova fonoteca, rifacimento della cappella in una nuova sede, creazione di due palestre attrezzate, riqualificazione delle sale socialità, rimessa a norma del teatro, creazione di un nuovo reparto scuola e di una capiente aula magna». Lo scorso anno il carcere ha allestito un suo stand nella fiera dell’Ascensione per far conoscere quanto realizzato nei laboratori e a novembre detenuti e personale hanno promosso un concerto di musica jazz a Tortona con ingresso a offerta per finanziare le attività della casa circondariale e per aiutare un istituto che accoglie bambini disabili.
La direttrice non si ferma e guarda avanti.
«Mi piacerebbe creare all’interno della struttura un laboratorio – ha concluso – che abbia legami con le realtà della zona e proporre attività interessanti per i detenuti, come ho fatto a Sondrio dove sono riuscita ad avviare un pastificio. Vorrei anche impegnare le persone detenute per i bisogni della collettività, per restituire alla società qualcosa che è stato tolto. Penso al Comune, all’Enpa, alle scuole, al Museo storico. Sono certa che bisogna portare avanti progetti concreti con le associazioni che sono già presenti, come “Terre di mezzo” dell’orionino don Pietro Sacchi, coinvolgendo altri enti locali».
Daniela Catalano