“Una politica basata sul dono”

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Il Messaggio del Vescovo Mons. Vittorio Viola alla Città di Tortona

pronunciato in Cattedrale durante la Messa di giovedì 7 marzo, festa di San Marziano, patrono della Diocesi

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

 

la solennità di san Marziano, fondatore della Chiesa tortonese, ci offre ancora una volta l’occasione di riflettere sulla nostra Città, quest’anno in un momento significativo della sua vita: come in molte comunità della Diocesi, saremo chiamati nel prossimo mese di maggio ad eleggere i nostri amministratori. Certo non intendo in alcun modo esprimere con questi miei pensieri né un mio personale orientamento né – tanto meno – quello della comunità ecclesiale: ogni cristiano valuterà persone e programmi alla luce del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. Sento, invece, il dovere, come cittadino e come vescovo, di offrire il mio piccolo contributo ad una riflessione che ritengo dovrebbe precedere, per il bene della nostra Città, ogni legittima distinzione in schieramenti.

Di che cosa ha bisogno Tortona? Se riuscissimo tutti insieme – prima di prendere posizione nella scelta di possibili soluzioni – a farci questa semplice domanda, senza altra preoccupazione se non quella del bene comune, avremmo certamente raggiunto un obiettivo alto del nostro vivere in comunità.

Per fare questo dovremmo anzitutto disintossicarci (nei pensieri, nei sentimenti e nelle parole) dal veleno del conflitto, che sembra essere diventato la più diffusa modalità di relazione. Dobbiamo ricordarci che visuali diverse sulla stessa realtà permettono di descriverla in un quadro più completo; che la capacità di ascolto e il rispetto dell’altro è garanzia di oggettività; che la ricerca di ideali condivisi non mortifica ma valorizza le differenze. Contrariamente da come il mondo vorrebbe farci credere, questi atteggiamenti sono segnali di forza e non di debolezza. Non abbiamo bisogno di una campagna elettorale che sia la riproduzione locale di una politica nazionale che pare aver fatto dello scontro urlato la sua attività preferita. La forza delle idee si misura nell’intelligenza del confronto e non nella violenza dello scontro.

Comporre l’elenco dei bisogni della nostra Città sarebbe relativamente facile: basterebbe chiedere a tutti i tortonesi di indicare in una sola parola ciò che ritengono prioritario. Non presumo di poter conoscere l’ordine delle preferenze ma non occorre essere profeti per sapere che non mancherebbero nell’elenco questioni riguardanti l’economia e il lavoro, la salute e la dignità della persona, la famiglia e la scuola, le povertà e le risorse, l’urbanistica e la casa, la sicurezza e l’ambiente, la cultura e lo sport. Vale a dire: ogni aspetto della nostra vita e della nostra convivenza. E non può che essere così: sono tutte questioni che ogni giorno dobbiamo affrontare e che segnano, a volte in modo drammatico, la qualità dell’esistenza e delle relazioni.

Un programma politico non può essere solo un elenco di bisogni, trasformato in intenzioni e spacciato come promesse. Un programma politico è anzitutto una visione della vita e del mondo, quel mondo che – ti piaccia o no – ha sempre più a che fare con il nostro locale quotidiano: è il tuo nuovo vicino di casa; il compagno di banco di tuo figlio; il sistema economico che ti ha fatto perdere il posto di lavoro e che ti ha “chiuso” l’ospedale; un indice percentuale che, per qualche mossa speculativa di non si sa bene chi, ti fa tirare la cinghia per riuscire a pagare il mutuo.

Non saremo capaci di rispondere ai bisogni locali senza assumere un punto di vista più ampio che ci permetta di comprendere come intervenire. Dobbiamo trovare un nuovo paradigma d’azione che non può essere surrogato da protocolli, burocrazie e algoritmi ai quali delegare la soluzione dei nostri problemi. Di questo anche la nostra Città ha bisogno.

Non ho ricette e non mi competono risposte tecniche. Provo solo a suggerire dei presupposti che rendano possibile scelte eticamente orientate.

L’esperienza umana che può offrire un nuovo paradigma d’azione è quella del dono. Se noi vivessimo il dono come rapporto sociale prevalente, molte dimensioni del nostro vivere in comunità verrebbero profondamente ripensate. A cominciare dalla dimensione economica.

Prima delle leggi dello Stato e prima dei rapporti economici regolati dal mercato, la gratuità del dono crea relazioni sociali, mette in circolazione i beni, libera dai mali divisivi dell’invidia e dell’avarizia, apre alla creatività della speranza. Non si tratta di elevare l’assistenzialismo a sistema. Uno Stato assistenziale tradisce il suo compito venendo meno al principio di sussidiarietà secondo il quale deve sostenere i corpi intermedi coordinando le azioni con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune.

Scrivono Vello e Reolon in un interessante saggio (La società generosa, Feltrinelli ed. Vita, 2014): «Il dono è alla base del sistema sociale. […] Le forme di generosità, sia individuali sia istituzionalizzate, andrebbero promosse e sostenute dalla scuola, dalle istituzioni pubbliche e dagli operatori economici, perché rappresentano il collante della società civile. […] Il dono è un atto etico di costruzione politica, che avviene all’interno della società civile unita dalla stessa immaginazione di bene comune».

Utopia? Credo di no: troppo spesso bolliamo come utopico ciò che non si adatta ai modelli di pensiero dominante e così contribuiamo al consolidarsi della stupidità sociale. I 9,1 miliardi di euro che solo in Italia (terza in Europa) vengono donati ad attività socialmente utili, le Fondazioni, le numerose Associazioni di volontariato e, permettetemi, l’associazionismo cattolico sono espressioni concrete di come una filantropia strategica possa essere efficace, purché sostenuta nella sua libera creatività e non dipendente da quelle politiche che hanno contribuito a creare un’economia “dell’esclusione e della inequità” che genera “scarti” (cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 53).

La politica deve aiutarci a ripensare i modelli sociali, a chiarire i rapporti tra il mercato, lo Stato e la società civile, deve orientare una svolta di natura etica.

Scriveva Don Sturzo (Il Popolo, 16 dicembre 1956): «C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa invece concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore per il prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.

Permettetemi, per finire, di ricordare a me e a voi – io stesso ho molto da imparare, anche se in altro ambito, da queste parole – il decalogo del buon politico che sempre Don Sturzo scrisse su Popolo e Libertà il 4 novembre 1948:

  1. È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e realizza quel che hai promesso.
  2. Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.
  3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico.
  4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità e altera la visione della realtà.
  5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai molti errori.
  6. È più facile dal No arrivare al Sì che dal Sì retrocedere al No. Spesso il No è più utile del Sì.
  7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomini. Non disperare mai.
  8. Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.
  9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.
  10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico.

 

Auguro alla nostra Città un tempo di sincero confronto. Insieme: Amministrazione, Istituzioni, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Partiti, Associazioni, Imprese, singoli cittadini e comunità cristiana.

Nel martirio di san Marziano risplende la bellezza del dono totale di sé, un gesto d’amore che ci ha generato alla fede. Il Signore, per sua intercessione, benedica l’impegno di tutti.

 

 

+Vittorio

Tortona, dal Palazzo Vescovile, 6 marzo 2019,

Solennità di San Marziano.

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