Utero in affitto: così si distrugge l’umano e la famiglia

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Mentre nel nostro Paese è in corso un acceso dibattito su questa pratica, abbiamo chiesto al presidente del Family Day – “Difendiamo i nostri figli” di fare un po’ di chiarezza e di aiutarci a capire

di Massimo Gandolfini

In questi giorni è in corso nel nostro Paese un acceso dibattito sulla pratica del cosiddetto “utero in affitto”, provocato dalla richiesta, proveniente dall’Europa, che i certificati di nascita stilati in ogni Paese UE debbano essere automaticamente validi per tutti gli altri Paesi.

Quello che può sembrare un semplice atto amministrativo, tira in ballo – in realtà – questioni ben più complesse, delicate ed eticamente sensibili, come appunto la maternità surrogata, attraverso la quale una coppia, etero o omosessuale, che ne abbia fatto uso, può aver generato un bimbo.

Innanzitutto è necessario fare un po’ di chiarezza, a partire dal significato dei termini che vengono utilizzati. Utero in affitto, gestazione per altri, maternità surrogata, gestazione solidale: sinonimi? Dal punto di vista pratico, il termine più realistico è certamente quello di “utero in affitto” perché significa la stipula di un “contratto” commerciale con cui una donna si impegna – dietro retribuzione pattuita – a portare avanti, fino al parto, una gravidanza, per conto di una coppia che ha richiesto la prestazione. Nella pratica, va specificato che si affitta l’intero corpo della donna, non solo il suo utero: per nove mesi quella donna deve vivere secondo canoni che i committenti hanno indicato, compresi farmaci che favoriscano la gravidanza, che blocchino eventuali reazioni di rigetto, astenersi da rapporti con eventuale marito o partner, alimentarsi e avere abitudini di vita quotidiana che sempre la coppia committente ha deciso e imposto.

Nel caso di bimbo non sano o non perfetto: aborto, pena rescissione del contratto. La coppia può essere etero o omosessuale e questi “genitori” sono denominati “genitori intenzionali” o “committenti”. Le statistiche attuali ci dicono che nel 90% si tratta di coppie eterosessuali e per il 10% omosessuali, nella quasi totalità maschili. Nel vocabolario della lingua italiana, “surrogato” significa “ciò che sostituisce un’altra cosa, spesso in modo incompleto o imperfetto; usato spesso per indicare un prodotto alimentare, di qualità inferiore, che si può usare in luogo di un altro”. Utilizzare questo termine per definire una maternità è certamente “sconcertante”: indicherebbe una gestazione sostitutiva dell’originale, di qualità inferiore, imperfetta… certamente poco opportuna!

La terminologia “gestazione per altri” (acronimo GPA) o “gestazione solidale” (acronimo GS) configura un dato reale – una donna fa da gestante a vantaggio dei soggetti committenti – e un dato solo molto marginalmente veritiero, cioè che la gravidanza viene portata avanti per scopi solidaristici, quasi umanitari, senza compenso alcuno, senza giro di denaro, senza contrattazione economica… salvo un “rimborso spese”! È quasi superfluo soffermarci sull’aspetto di quante e quali possibilità di abusi e di raggiri stanno dietro a questi cosiddetti “rimborsi” che, nella realtà, altro non sono che il pagamento di accordi economici prestabiliti. Comunque sia, nei fatti, le “gravidanze solidali” sono di una tale esiguità numerica, da essere assolutamente irrilevanti, ai fini del giudizio etico, sociale e politico che la pratica della commercializzazione dell’utero richiede.

Tornando all’aspetto pratico, lo scenario che abbiamo di fronte ci presenta una donna che affitta il suo utero per accogliere un embrione che si svilupperà fino al parto: a parto avvenuto, dopo pochi minuti (stabiliti per contratto) il neonato verrà consegnato alla coppia committente, che vedrà così soddisfatta la sua richiesta di genitorialità. Sempre per contratto, l’allattamento non verrà praticato dalla donna che ha gestato il bimbo per nove mesi, al fine che non si stabilisca un legame troppo stretto fra gestante (che sarebbe corretto chiamare “mamma”) e il bimbo. Quindi, si procederà ad allattamento artificiale, oppure a prelevare il latte dal seno della “gestante/mamma” e somministrarlo al bimbo con un biberon. L’embrione che viene accolto nell’utero della gestante può essere ottenuto in vari modi: utilizzando i gameti della coppia se eterosessuale; oppure un gamete della coppia (ovocita o spermatozoo) e l’altro gamete acquistato da banche di donatori/donatrici; oppure utilizzando gameti, sia maschile sia femminile, scelti nel menù delle banche presenti sul mercato; oppure ancora utilizzando un gamete “donato” da un parente o da un amico/a della coppia committente (per questo si parla di “donazione solidale”) solitamente la mamma, o un fratello/sorella. Per chiarire quest’ultima condizione è emblematico il caso recente di una coppia omosessuale maschile che ha utilizzato lo spermatozoo di uno dei due maschi della coppia, l’ovocita della sorella di carne dell’altro maschio della coppia, e l’utero della mamma del maschio e della sorella. Dunque: l’utero della nonna, l’ovocita della zia, lo spermatozoo del padre biologico e la paternità giuridica del “padre intenzionale”, cioè committente.

Certamente, non è facile raccapezzarsi in questo guazzabuglio di gameti, corpi e giurisprudenza. In Italia, la pratica dell’utero in affitto è vietata dalla legge 40/2004, articolo 12 e le Supreme Corti si sono dichiarate in termini molto chiari con sentenze che vale la pena di ricordare. Corte Costituzionale, sentenza 272/2017; “…elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità”; Corte di Cassazione a Sezioni Riunite, sentenza 38162/2022: la pratica di utero in affitto “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale”.

Massimo Gandolfini

A questo proposito giova ricordare che la pratica dell’utero in affitto (che chi sta scrivendo ritiene una vergognosa mercificazione di due corpi, quello della donna e quello del bimbo) è regolata da contratti commerciali che chiunque può consultare in Internet, con qualsiasi motore di ricerca: si va da 100/150 mila dollari in USA, alla gestante va il 10%, a 30/40 mila dollari in India, alla gestante vanno 2.500 dollari al massimo, ai 45 mila dollari in Ucraina. La maternità surrogata è illegale, oltre che in Italia, in Francia, Germania, Bulgaria, Svizzera, Norvegia, Svezia, Islanda, Portogallo, Cina, Giappone, Turchia e altri Stati.

In conclusione, due sono i temi etici e antropologici che la pratica dell’utero in affitto impone: la mercificazione del corpo femminile e la mercificazione del bimbo, cui viene negato il diritto di avere e conoscere la sua mamma e il suo papà.

Come tante volte ci ha detto Papa Francesco, ci sono “colonizzazioni ideologiche” che stanno distruggendo l’umano e, in particolare, la famiglia.

Certamente la pratica dell’utero in affitto è una di queste.

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