Vie di pellegrinaggio in Diocesi di Tortona

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Mentre fervono i preparativi per il Giubileo del 2025, scopriamo perché “tutte le strade portano a Roma”… passando anche da casa nostra

DI DON MAURIZIO CERIANI

L’ attuale territorio della diocesi tortonese, comprese le rilevanti aggiunte del 1817, è interamente attraversato da vie di pellegrinaggio che si svilupparono, a partire dal primo Giubileo del 1300, su preesistenti itinerari seguiti dai pellegrini medievali sulla direttrice sia di Roma/Gerusalemme (da Ovest e Nord-Ovest verso Sud-Est alla Città Eterna e successivamente ai porti dell’Adriatico meridionale per la Terra Santa) sia di Santiago (da Est verso Ovest). Si tratta in entrambi i casi di tracciati che ricalcano sostanzialmente le antiche vie consolari Aemilia Scauri, Postumia e Fulvia con le relative varianti e deviazioni.

L’Addictio Moccensis

Già prima degli anni giubilari, che iniziarono la loro serie con il 1300, Roma fu costantemente meta di pellegrinaggi e la posizione strategica di Dertona/Terdona fece sì che la città venisse sempre interessata dai flussi di pellegrini. La più antica testimonianza documentaria di questo può essere vista nell’Additio Moccensis, un’appendice alla vita di San Dalmazzo datata sullo scorcio del secolo IX che, per certi aspetti, appare quasi un “guida del pellegrino” ante litteram. Il suo appellativo “Moccensis” deriva dal fatto che l’anonimo autore del testo afferma di averlo scritto nella “Moccensis Vallis”, ossia in una valle alpina del versante francese, presumibilmente identificabile con la Valle dell’Ubayette che sale al passo del Colle della Maddalena. Attraverso le notizie agiografiche, lo scritto delinea un itinerario che ripercorre il tracciato delle romane Via Fulvia e Via Iulia Augusta, collegando il culto di san Dalmazzo con i santi Vittore, Secondo e Marziano, i cui corpi sono venerati rispettivamente nelle città di Pollenzo, Asti e Tortona, oltre ai martiri Avventore, Ottavio e Solutore della sede episcopale di Torino e sant’Eusebio confessore di Vercelli. Si aggiunga san Saturnino (martire a Tolosa nel 250) con cui san Dalmazzo avrebbe annunciato la Parola di Dio a Marsiglia, e si completa così un tracciato che da Marsiglia giunge a Tortona, attraverso i valichi delle Alpi marittime, per poi proseguire verso Roma e le tombe degli Apostoli.

La Via Romea

Con tale nome era indicato dall’alto medioevo un tracciato che univa le antiche vie consolari Fulvia e Aemilia Scauri e andava a innestarsi a Piacenza sull’Aemilia classica. Era nota anche come “via di Saint Gilles”, perché nella famosa abbazia occitana raccoglieva diversi cammini provenienti dalla penisola iberica, dall’Aquitania e dal Nord della Francia per incanalarli, attraverso la Provenza e i passi delle Alpi marittime (Colle di Tenda e Colle della Maddalena in particolare), verso la pianura padana, restando a Sud del Po. Raccoglieva anche parte del flusso di pellegrini che, passando le Alpi al Moncenisio e scendendo per la Val di Susa, preferivano restare alla destra del Po, superato prima che ricevesse le acque della due Dore.

Il primo accenno a questo importante tracciato è scritto nel diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera nel 1154. Egli, dopo un fortunoso viaggio per mare fino alla Danimarca e un avventuroso attraversamento della Germania, scese in Italia per il passo del Gran San Bernardo e, in seguito all’attraversamento del Po a Piacenza, annota: “Fra Pavia e Piacenza passa un gran fiume che si chiama Padus. Quindi si giunge alla strada di coloro che hanno percorso la via di Saint Gilles”. L’appellativo “Romei” per i pellegrini in cammino verso Roma, invece, risale alla Vita di San Gerardo di Aurillac, scritta da Odone di Cluny nel X secolo.

Dai viandanti il termine passò, successivamente, a indicare la strada stessa.

Nel tratto tra Piacenza e Tortona la Romea raccoglieva, nella direttrice Est-Ovest, anche un imponente flusso di pellegrini giacobei che da Est e da Nord si avviavano a Ovest per l’antico tracciato della Via Fulvia oppure scendevano a Vado Ligure attraverso l’antica Via Aemilia Scauri per congiungersi sul litorale all’Aurelia; ugualmente incanalava, per l’antica Postumia verso il porto di Genova, i pellegrini più facoltosi che potevano permettersi il viaggio in nave fino ai porti catalani. In tutti questi casi, Tortona si poneva come snodo strategico ineludibile. Altre “vie minori”, fedeli al motto che “tutte le strade portano a Roma”, salivano verso i valichi appenninici della Valle Staffora e della Val Trebbia.

Gli Hospitales

Questo flusso di gente richiedeva una particolare capacità di accoglienza, che nacque prima spontanea e poi si organizzò in una vera e propria “rete”, che si estese su tutto il territorio diocesano in modo articolato e capillare. Ne furono protagonisti i grandi ordini religiosi e cavallereschi, sorti in epoca crociata, gli ordini mendicanti e le confraternite laicali, soprattutto quelle legate al carisma trinitario. Questi luoghi sicuri e ospitali offrivano non solo un tetto e un rifugio a chi intraprendeva il pellegrinaggio, ma si facevano anche carico di curare ammalati e feriti e, non di rado, di seppellire i morti nell’apposito spazio riservato a chi moriva durante il pellegrinaggio. Normalmente l’offerta era vitto e alloggio per tre giorni, periodo che si prolungava davanti all’esigenza di rifocillarsi e curarsi se infermi. Solitamente questi luoghi erano situati all’esterno della cinta muraria del centro abitato, in prossimità delle porte, oppure nei sobborghi, per evidenti esigenze anche di quarantena igienicosanitaria. Va precisato che il lasso di tempo in cui furono attivi gli hospitales abbraccia diversi secoli, almeno dall’XI al XVIII, con la sua epoca d’oro attorno al XIV e XV secolo; pertanto non è semplice ricostruire la rete dell’accoglienza e occorre tenere presente che alcuni luoghi di accoglienza cambiarono denominazione lungo i secoli, altri andarono distrutti, molti si avvicendarono.

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